La crisi del fumetto pubblicitario (italiano)

Riprendere in mano uno splendido volume come Drawing Power: A Compendium of Cartoon Advertising 1870s-1940s (Fantagraphics, 2011), mi pare una buona occasione per una discussione doppiamente utile. In fondo, me l’ero ripromesso un anno fa.

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1. Da un lato, perché mi pare che il tomo di Marschall & Bernard sia una conferma della crescente attenzione e consapevolezza, da parte del mondo del fumetto, non solo del suo generico ‘passato’, ma della sua storia culturale. Perché un libro del genere racconta non tanto (non solo) un frammento di storia del suo ‘linguaggio’ (le sue convenzioni, i suoi stili, i suoi autori), quanto qualcosa di insieme più effimero e più profondo: il suo radicamento sociale e simbolico, come “cultura sottile” che ha permeato gli immaginari e i prodotti di oltre un secolo di industria culturale.

Su questo fronte, allora, è utile e interessante riscoprire campagne memorabili sotto diversi aspetti, come quelle di: Dr. Seuss per Esso Marine Products, Rube Goldberg o Otto Soglow per Pepsi Cola, Al Capp per le sigarette Chesterfield, Otto Soglow (ancora) per Standard Oil o per le radio Emerson, Walt Kelly per la Portland Cement Association, Peter Arno per la birra Rheinegold, Little Orphan Annie per Ovomaltina, e ancora quelle con Little Nemo, Yellow Kid, Buster Brown, Popeye, Bringing Up Father, Krazy Kat, Peanuts, B.C., Topolino…

Collier's 1945-12-08 Pepsi Ad Soglow

2. La seconda ragione, è che Drawing power consente di mettere in prospettiva un fenomeno preciso: la creazione di pubblicità a fumetti e/o di fumetti pubblicitari. Un genere di prodotto che – la faccio breve – mi pare oggi in crisi soprattutto in Italia. E dire che, solo dieci anni fa, un curioso saggio (Pubblicità fumetto) aveva offerto una sommaria ricognizione storica e alcune analisi di casi italiani significativi (tra cui l’ambiziosa e memorabile campagna Tim realizzata da Roberto Baldazzini). Tuttavia, nell’ultima decade, il fermento suscitato dall’operazione Tim sembra svanito. E la crisi si è fatta evidente, tanto sul fronte quantitativo quanto su quello creativo.

Sul primo fronte, l’uso del fumetto come veicolo (e/o linguaggio) pubblicitario mi pare sempre più confinato a ‘piccole’ campagne, per obiettivi e target di nicchia. Tra le campagne italiane più consistenti degli ultimi anni, mi vengono in mente quelle di Lancia (co-creata da Shockdom) o di Moncler. Quest’ultima, Monduck story (creata da Marco Andreoletti e Christian Marra), in una sorta di eccezione a confermare la regola, si è distinta per complessità, estensione e per alcune brillanti trovate, come trasformare in fumetto persino l’etichetta con le indicazioni di lavaggio… Ma il combinato disposto grandi brand / grandi campagne ‘a fumetti’ pare una situazione sempre meno frequente.

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Sul secondo fronte, di crisi creativa avevo parlato già in occasione della campagna di Poste Italiane per il lancio di BancoPostaPiù. Una campagna ‘passatista’ per immaginario, per stile e per tecnica (para)fumettistica. Se è dunque vero che non mancano certo usi più riusciti da parte di piccoli brand italiani (tra i tanti casi poco raccontati: il catalogo Skitsch disegnato da Andy Rementer 3 anni fa; tra i brand più attivi: 55DSL), resta il fatto che spesso la qualità delle produzioni fumettistiche è bassa.

L’esempio che mi è rimasto più impresso viene da Topolino. Una testata che, coerentemente alla sua natura, ha spesso fatto uso di fumetti pubblicitari, ma che con gli anni Duemila ha ospitato rari esempi del genere. Il più esteso dei quali – per durata, numero di tavole, e notorietà del marchio – è stato la campagna seriale dei ghiaccioli Polaretti:

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Una campagna dalla qualità modesta sotto tutti i punti di vista: storytelling, art direction, disegno, character design, colorazione, lettering. Non che Mulino Bianco, nel frattempo, sia sia distinto:

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Stesso discorso per la campagna “Max Adventures”, dedicata agli omonimi gelati Algida/Unilever:

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Purtroppo, casi come questi mi sembrano decisi passi indietro. E a differenza di Marschall & Bernard, non penso agli anni Dieci, Trenta, Cinquanta, ma ai più vicini e “semplici” anni Settanta/Ottanta. In cui, sempre nel segmento merendine, circolavano fumetti pubblicitari come quelli commissionati da Motta:

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Naturalmente, l’interpretazione delle ragioni di questa crisi non è semplice. La lista sarebbe lunga: la pertinenza (diminuita?) del fumetto tra i codici dei creativi; la legittimità (sempre meno ‘generalista’) del fumetto come forma espressiva per i diversi pubblici odierni; una crisi nella creatività dei pubblicitari italiani; ma anche lo scollamento tra certo fumetto – e suoi autori – e il mondo della pubblicità; ecc… [i suggerimenti sono benvenuti]

Tutti aspetti che sollevano problemi più ampi: le competenze (artistiche e creative), la pertinenza (dei codici), la rilevanza o rappresentatività simbolica (della forma-fumetto). Ma quale che sia il peso di ciascuno – discussione che meriterebbe ulteriore spazio – non posso che dirmi dispiaciuto, e un po’ preoccupato, sulla salute del drawing power nostrano.

Non che Carosello Reloaded mostri segnali molto distanti, peraltro.

Un pacco di

Weekend ricco, mi ci ficco:

via ComicsBeat

Tremonti strikes again

La recente manovra economica ha tangenzialmente toccato anche il fumetto. Per la verità, solo a parole. La notizia delle informazioni non corrette, e dell’ironia poco giustificata dal Ministro Tremonti, la trovate qui e qui. Ma la storiella è carina, anche se non molto edificante, e vale la pena commentarla un po’. Il gusto del paradosso, come è noto, la rende già in sè fumettologicamente rilevante.

L’aneddoto, in sintesi, è questo: Tremonti ha citato come esempi di Enti culturali “sorprendenti” (testuale) il Comitato Nazionale Un Secolo di Fumetto Italiano (e l’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini). L’idea di non attribuire più fondi a un tot di enti si è però scontrata con le puntualizzazioni del Ministro Bondi e del Presidente della Repubblica Napolitano, che in sostanza hanno condotto a cancellare quella lista. Una lista – si dice – del 2008 e made in Calderoli. La raccomandazione fatta al Ministro è stata quella di fare verifiche migliori (magari sentendo anche i dicasteri competenti…) prima di diffondere liste e informazioni non ben precisate.

Chissà: la “furia dei tagli lineari” avrà preso le mani a qualche funzionario un po’ frettoloso? Qualcuno avrà messo nelle mani del Ministro elenchi che includevano enti perfettamente in regola e che persino non avevano fatto richiesta di finanziamenti da due anni? Il fumetto e i garibaldini sono fenomeni tanto sorprendenti? Chissà: sono solo alcune ipotesi. Simpatiche, peraltro: è bello sapere di essere garantiti da prassi burocratiche trasparenti e da valutazioni istituzionali così precise e puntuali.

Non mi dilungo in altri dettagli, per carità di patria. Mi limito a dire che da parte mia, che di questo Comitato sono parte in causa, ho inteso questa storiella come segno del destino rivolto a … un autore di fumetti italiano. Uno di quelli bravi e stimati, di cui si parla ormai come di un riferimento per l’umorismo disegnato. Uno che – incredibile ma vero – ha avuto a che fare con tutti i seguenti ingredienti “sorprendenti”: fumetto, Garibaldi, Comitato Nazionale.

Ho quindi chiesto ad Andrea Paggiaro, in arte Tuono Pettinato, di “disegnare” cosa pensa di questo surreale episodio. Tuono Pettinato si era già fatto notare per alcuni dei più riusciti omaggi, in forma di parodia, al Corriere dei piccoli (il centenario dello storico settimanale è alle origini della nascita stessa del Comitato): uno dedicato al Signor Bonaventura (Orecchio Acerbo) e uno ad Antonio Rubino (Black Velvet), rispettivamente il più noto personaggio e il principale artista del Corrierino. Tuono Pettinato, inoltre, è attualmente impegnato in ben due lavori che hanno per protagonista – segno del destino – proprio Giuseppe Garibaldi: una biografia di Garibaldi ‘a fumetti’ per Rizzoli-Lizard, ed una guida illustrata di Roma, in cui Garibaldi folleggia con Pio IX e Asia Argento, per la collana ZeroGuide.

Dunque che altro dire, se non…meglio sorridere? Magari fingendo di giocare al tradizionale gioco degli “enti barricaderi”, con l’aiuto delle “icone rosse” Bonaventura e Garibaldi, al pericolosissimo grido di: “No ai tagli al fumetto e alle camicie rosse”!

Grazie, Andrea. E complimenti: tu sì che sei “sul pezzo”.

Grazie anche te, Giulio: non ti chiederemo una lira (né te l’abbiamo chiesta, ma vabbe’), a patto che tu riesca sempre a metterci di buonumore.

iPad comics from Italy: il debutto

iPad è arrivato anche in Italia. E il fumetto nazionale – e non – inizia a giocare la propria partita anche su questa nuova piattaforma. All’interno della categoria Libri, iniziano quindi a fare i primi passi alcune opere e cataloghi.

Guardiamo allora come si è mossa, in queste prime giornate, la classifica delle apps più popolari di questa categoria. A partire da un primo dato, per certi versi sorprendente: numerose applicazioni dedicate al fumetto sono tra le 10 più scaricate, sia il 28 maggio che il 30 maggio. Ecco un paio di screenshot che documentano alcuni momenti (scattati sempre intorno all’ora di pranzo):

Libri: top12 al 28/05

Libri: top12 al 30/05

Nel primo giorno di ‘test’ la app più scaricata è proprio un fumetto, il classico di Bonvi Sturmtruppen. Oltre a questo, compaiono ben tre graphic novel pubblicate da Tunué, l’editore di fumetti che in queste settimane si è più impegnato nel promuovere la propria presenza sulla nuova piattaforma. Interessante anche la presenza di una strip italiana già celebre in Internet, Singloids, e di un editore ‘nativo’ e multicatalogo come il francese AVE Comics, già molto attivo su piattaforma iPhone.

Il secondo giorno lo scenario, come è ovvio, è molto diverso. Il fumetto compare come seconda app più popolare, ma si tratta della ben più nota Marvel app. Il primo fumetto italiano è sempre Sturmtruppen, ma ormai al 9° posto. La precede un altro editore multicatalogo e nativo digitale come l’americano ComiXology, e la segue un singolo graphic novel, anch’esso statunitense, ovvero l’adattamento a fumetti di Twilight.

Difficile prevedere, in una fase ancora in pieno assestamento, se la situazione delle app fumettistiche resterà stabile a lungo, con gli stessi protagonisti che abbiamo visto in questi primi giorni. Più semplice, però, immaginare che la tanto chiacchierata (ed efficace) app Marvel – anche se solo in lingua inglese – non cederà facilmente il passo ad altre apps di fumetti italiani, ancora poco (e male) presenti su questa piattaforma.

Tra le prossime apps fumettistiche made in Italy, di certo arriverà Disney Digicomics, anche se in tempi non ancora ben precisati. Qualche altro editore medio-piccolo, inoltre, pare in procinto di sbarcare nel ‘magico mondo’, attirato dalle sue ‘magnifiche sorti e progressive’. Difficile immaginare, però, che la presenza del fumetto possa restare altrettanto visibile non appena l’effetto-novità sarà terminato, e gli editori early adopters saranno superati da newcomers con le spalle più larghe. A meno che la piattaforma non inizi ad essere presidiata anche dagli attori principali, sia editori (con i propri vasti cataloghi… Bonelli, che aspetti?) che singoli autori/opere (improbabile la presenza di ‘big’ se non sul medio-lungo termine, a meno di non vedere calati su iPad fenomeni già nativi digitali… Eriadan, che aspetti?).

Tra un mese o due faremo di nuovo il punto. Per ora, si naviga a vista (e al tatto).

Grazie a AntonioD e ConcettaP

Once upon a LIFEtime: comics e fotogiornalismo anni 30

C’era una volta il fumetto, medium di massa per bambini e ragazzini. Erano gli anni Trenta, e negli Stati Uniti nasceva una nuova Age of enthusiasm intorno al nascente formato ‘compatto’ chiamato comic book, diffusosi a partire dal successo nel 1934 della testata Famous Funnies.

C’era una volta, inoltre, il rotocalco di fotogiornalismo, medium di massa per le famiglie delle classi medie. Negli Stati Uniti degli anni Trenta, grazie all’editore Henry Luce, fermamente convinto che le immagini potessero raccontare – e non solo illustrare – notizie e storie, la preesistente identità umoristica e illustrata di LIFE (tra i suoi artisti, talenti come Charles Dana Gibson, Palmer Cox, A.B. Frost, J.C. Leyendecker, Norman Rockwell) viene ri-fondata nel 1936, mettendo al centro il fotogiornalismo.

La storia di queste due innovative forme culturali, il comic book e il magazine di fotogiornalismo, prese a incrociarsi presto, proprio alla metà degli anni Trenta. In quel decennio, e in quello successivo, LIFE e i suoi fotoreporters si trovarono infatti, e a più riprese, a documentare la cosiddetta Golden Age del fumetto americano, testimoniando la pervasività dei comics nei contesti domestici e nella vita quotidiana dei giovani lettori.

Una selezione di questo lavoro fotografico e giornalistico è stata recentemente presentata in uno splendido servizio, dal titolo In praise of Classic Comics, proprio sulle pagine online di LIFE, il cui sito web continua a celebrare – dopo la chiusura della testata nel 2000 – la potenza narrativa ed emotiva della fotografia, antica compagna di strada del fumetto e della sua lunga parabola storica.