Ode ad Harvey Kurtz (by Robert Crumb)

Tra le cose che si scoprono sfogliando pubblicazioni più o meno improbabili per completisti, tipo The Complete Crumb Comics, ci sono queste due pagine firmate Robert Crumb. Che ci ricordano due o tre cose basiche:

  • quanto Kurtz sia stato influente
  • quanto il talento di Crumb sia debitore del fumetto umoristico popolare
  • ergo: quanto il fumetto underground e il fumetto popolare non vadano visti come due universi in opposizione (anzi)

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Vecchi schizzi di Crumb

Pochi mesi fa si diceva della colossale collana Crumb sketchbooks lanciata da Taschen. Nel rivendicare con orgoglio la qualità editoriale dell’operazione, l’editore sottolineava la differenza con la sola iniziativa comparabile, ovvero la collana pubblicata tra il 1981 e il 1997 dall’editore tedesco Zweitausendeins.

Nasceva quindi una curiosità: vedere qualche estratto di quella rara, precedente edizione. La cui memoria era andata pressoché perduta, e le cui poche immagini online provenivano quasi solo da microscopiche foto su eBay.

Poche settimane fa, il sito internet della rivista Print ci ha fatto uno splendido servizio: tre dozzine di foto. Che testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto Crumb riesca a suscitare una sensazione rara ed eccitante: sfogliare sketchbook può essere non solo una curiosità (tecnica, estetica, filologica), ma un autentico piacere.

Altre immagini le trovate qui

La grafomania di Robert Crumb, in 1344 comode pagine

Ho pochi dubbi: è in uscita quello che mi pare uno dei progetti editoriali più ambiziosi del decennio. Si tratta della raccolta degli sketchbook di Robert Crumb, lìder maximo del disegno realistico-grottesco contemporaneo, e una delle figure centrali nella storia del fumetto.

L’opera si chiama Robert Crumb. The sketchbooks. 1982-2011, ed è composta da sei volumi in tiratura limitata (1000 copie), di 220 pagine ciascuno, per un totale di 1344 pagine, raccolte in un comodo (ok: sto mentendo) cofanetto.

Crumb è forse l’autore di fumetto che ha pubblicato, nel corso della sua carriera, più sketchbook, con editori come Kitchen Sink, Fantagraphics, Drawn & Quarterly. Un’ampia edizione di essi è stata quella pubblicata tra il 1981 e il 1997 dall’editore tedesco Zweitausendeins, il solo (finora) ad averli riprodotti direttamente dai disegni originali. Ma mentre in quella edizione compariva qualsiasi genere di disegno da lui prodotto, per Taschen Crumb ha curato una selezione del ‘meglio’ della sua ossessiva, sterminata grafomania.

Nella brevissima introduzione a questo gruppo di volumi, Crumb spiega da un lato la graduale riduzione dell’entità degli sketchbook negli ultimi anni, dall’altro le personali motivazioni verso il “disegnare schizzi” oggi, all’età di 68 anni. La cristallina autoanalisi di un artista compiuto, i cui passaggi essenziali mi sembrano i seguenti (e non sto a tradurli, direi):

the compulsion to draw in sketchbooks has gradually tapered off over the years until now I rarely do it anymore. […]
The motivation has very slowly dwindled away. […] I’m 68 years old. I’ve done so much drawing in my life! […]

I’ve left my big ol’ mark on the world. I’ve drawn everything, over and over again. For decades my identity was completely tied up with drawing pictures. […]

my ego clung with this artist identity. I was the guy who drew all the time, always doodling in that book. That was R. Crumb. […]

In my youth it was all I knew. It was how I coped with the world, it was my very survival. I had nothing else. It was not just for the aesthetic pleasure of it that I drew, it was mainly to stay alive!

Of course I still draw to earn a living, it’s still my bread and butter, but it is no longer the core of my identity. I no longer live my life on paper.

Dopo avere letto in anteprima un paio (il vol. 7 e il vol. 12) di questi tomi, e ripensando ad altri fumettisti che hanno pubblicato sketchbook negli ultimi anni, ho pensato a qualche nota. Brevissima.

Rispetto a suoi *eredi* come Chris Ware – altro autore di splendide raccolte di disegni occasionali – quel che colpisce qui non è tanto la flessibilità e diversità del segno, quanto piuttosto il contrario: pur nella varietà di occasioni, a sorprendere (per chi non ne avesse mai sfogliati prima) è la tenuta stilistica della mano di Crumb.

A Legend was Born, October 1992

Rispetto a un altro grafologorroico – se mi passate il termine – come Joann Sfar, inoltre, Crumb si distingue per un aspetto importante. In Sfar gli sketchbook hanno spesso una natura discorsiva, non tanto (non solo) nel senso che sono ‘verbosi’, quanto per il fatto che rappresentano la declinazione grafica di una propensione al racconto, alla riflessione, alla “presa di parola”. In Crumb tutto questo mi pare invece minoritario, e il fascino maggiore viene da tutt’altro. Nei suoi disegni emerge infatti il gusto per la costruzione plastica della pagina, oltre che delle figure: Crumb da’ prova di essere un disegnatore-scultore, un illustratore-grafico che ama giocare con le affiche, un fumettista che anche in frammenti narrativi riesce a dar peso non solo al contenuto ma anche alla composizione di dettagli come  “testate occasionali”, didascalie, copertine, balloons che offrono l’impressione di assistere allo spettacolo di un continuo fare e disfare fumetti.

Recurring Dream, November 13, 1998

E allora la sua grafologorrea mi pare quanto mai coerente, lontana dall’essere “altro” dal fumetto (pittura, o disegno ‘puro’). “Drawing is all you know”, recita la voce di un occhio/dio in una pagina di questa raccolta. Ma a differenza di tanti altri autori, per i quali la pratica del disegno “libero” – e gli sketchbook che la accolgono – è una forma di espressione tendenzialmente alternativa (compensativa?) al fumetto, in Crumb il disegnare è raramente generico, dessin-pour-le-dessin come si dice talvolta in francese.

A Fresh Start, October 14, 1997

Ossessivo nella sostanza, nella forma e nella pratica, il disegnare su fogli e quaderni vari di Crumb non è una frattura o una compensazione, ma una compulsione quanto mai naturale, un proseguimento del mestiere di cartoonist. Più che una liberazione, gli sketchbook sono per Crumb la dimostrazione del suo essere prigioniero. Del fumetto, naturalmente.

Peraltro: non finisce qui. Questi sei volumi non sono che una parte del progetto di Taschen (editore, non dimentichiamolo, nato come libraio di fumetti), ovvero quella dedicata alla produzione “recente”. Lo stesso Crumb ha voluto iniziare dal 1982, ma gli anni precedenti arriveranno anch’essi. In altri sei volumi.

E ossessionati dalle sue ossessioni, anche a noi toccherà continuare a seguirlo, prigionieri dei suoi segni sulla carta.

PS  Al momento niente Amazon/IBS, per comprarli. Si può fare in libreria, o presso l’editore (e l’importatore Logos).

Copertine inghiottite: i rifiuti del New Yorker

Se da tempo, in editoria, è invalsa l’equazione “copertina illustrata = New Yorker”, lo dobbiamo non solo alla diversità dei talenti coinvolti, ma anche alla qualità dei processi di selezione.

Lo dimostra un libro recente, Blown Covers. New Yorker Covers You Never Meant To See, dedicato alle copertine ‘scartate’ dalla redazione del settimanale, e in particolare dal suo art director Francoise Mouly.

Fra questi ‘scarti’ – talvolta affascinanti, talaltra semplicemente interessanti – ce ne sono parecchi realizzati da fumettisti, Art Spiegelman in primis. Come quella da lui proposta per la Festa della mamma del 1996:

o come quella dedicata al caso Clinton-Lewinsky:

o ancora, come quella dedicata al Natale – rifiutata come copertina, ma riutilizzata come biglietto d’auguri:

Anche Lorenzo Mattotti si è visto rifiutare una proposta di copertina, dedicata all’anniversario del terremoto in Giappone:

Idem per Robert Crumb che propose, nel 2009, una copertina sul tema ‘matrimonio’ ritenuta poco al passo coi tempi:

Accanto ai grandi e piccoli ripensamenti, Blown Covers dedica spazio anche ad alcune delle copertine più controverse nella storia del settimanale, andando a scavare un po’ al di là di quelle più note e abitualmente ricordate dai media, come quelle create da Spiegelman (chi non ricorda le torri gemelle ‘all black’, o il provocatorio bacio inter-religioso?).

Esempio: una dimenticata cover di David Mazzucchelli che, nel 1993, sollevò polemiche per l’allora temeraria associazione tra attacchi terroristici (come quello, all’epoca sventato, al World Trade Center) e matrice arabo-musulmana:

Altre immagini le trovate qua e sul blog del progetto, curato da Francoise Mouly e Nadja Spiegelman.

Voodoo Biennale

Non ho ancora visitato la 54a Biennale d’Arte di Venezia. Ma come sempre, noto che tra gli artisti selezionati non mancano quelli interessanti per l’uso del disegno: per dirne un paio che non conoscevo, si va dal notevole giapponese Tabaimo al discutibile venezuelano Heimo Aga.

Come sempre, inoltre, temo di dover constatare che la forma-fumetto, in sé, resta una forma piuttosto ‘invisibile’ in quel contesto: gli artisti noti (anche) come autori di fumetti sono scarsamente presenti.

Tra le eccezioni, nientepopodimeno che Robert Crumb, un cui disegno originale è esposto nel padiglione danese:

In realtà, dunque, questa eccezione è relativa: il lavoro esposto non è una tavola di fumetto, ma una singola illustrazione, in forma di pin-up. E che Crumb sia presente tra le opere danesi beh, a me pare un intervento ai confini della retorica: una decorazione nobilitante, più che un commento, per la collettiva “Speech Matters”.

Un’altra eccezione è presente in una delle sedi della “Biennale Diffusa”, ovvero Mantova – Palazzo Te. Si tratta del video ‘”Voodoo”, una performance musicale scritta, cantata e parzialmente animata da Massimo Giacon:

La vicenda della partecipazione di Giacon, raccontata sul suo blog, è peraltro una storia emblematica per capire le modalità della pasticciata ‘direzione Sgarbi’ del Padiglione Italia. Una storiaccia ricca anche di passaggi spassosi, come l’ipotesi di un intervento critico-ludico – poi non realizzato – come questo:

Insomma, in autunno, tappa a Venezia.

Certo che insomma, una Biennale senza William Kentridge, che Biennale è?