Giornalismo e fumetto, ovvio

Da sabato 20 il Corriere della Sera sarà in edicola con una collana di allegati fino a pochi anni fa impensabile. Si chiama Graphic Journalism, e presenta una selezione di 20 opere del cosiddetto “fumetto di realtà”, tra libri di vero e proprio comics journalism, graphic memoir e biografie storiche.

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Tre dettagli, dunque. E una semplice premessa: sono felice che questa collana sia partita. Anche se dubito possa attendersi cifre comparabili a quelle – per citare la concorrenza – dell’attuale collaterale “Dylan Dog – la collezione storica a colori” proposto da Repubblica. Ma il solo fatto che possa portare in edicola, e con il marchio del principale quotidiano italiano, capolavori – sì: capolavori – come ben due libri di Joe Sacco, o lavori pure straordinari come Morti di sonno di Davide Reviati, Persepolis di Marjane Satrapi, Quaderni ucraini di Igort e altri, mi pare un segno positivo, da registrare con il dovuto ottimismo. Perché questa collana offre una sensata dimostrazione del lavoro di una generazione di autori, editori e critici, impegnati da circa vent’anni in un’idea di fumetto che ha raccontato la realtà, insistendo sull’osservazione e l’analisi del presente, del territorio, della Storia. Non molto – non abbastanza – ma qualcosa di utile e giusto, questo sì.

Il primo dettaglio, dunque: ai testi introduttivi ci alterneremo Paolo ed io. Non ci capitava dai tempi della collana Graphic Novel con Repubblica. Per i collaterali destinati a vendere un decimo di Tex, siamo gente allenata.

Secondo dettaglio, più importante: di 20 uscite previste, 19 sono riedizioni di titoli già usciti, mentre una è un inedito. Si intitola La seconda volta che ho visto Roma, l’autore è Marco Corona, e dalle pagine che ho visto è uno splendido, immaginifico volo pindarico. Uno dei graphic novel italiani più interessanti dell’anno (fidatevi – e prendete nota).

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Il terzo dettaglio: questa selezione si avvicina, fatta la tara dell’inevitabile baricentro nel catalogo Rizzoli Lizard, all’idea di quello che pare un vero e proprio Canone nascente del comics journalism contemporaneo. La sola presenza di Delisle e Sacco occupa il 25% della collana – il che corrisponde all’idea del comics journalism che ormai è penetrata nel mondo stesso del giornalismo italiano. Un mondo che, a quanto pare, sembra avere definitivamente accettato il fumetto nel proprio orizzonte espressivo e metodologico. E se lo ha capito persino l’Ordine dei giornalisti della Lombardia – qui sotto la copertina di un recente “Tabloid”, il periodico dell’Ordine – abbiamo una speranza: che la presenza del graphic journalism, ormai, sia qualcosa di ovvio. Un linguaggio fra i tanti, da insegnare ai giornalisti che verranno.

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Graphic novel ottocenteschi: “Canottieri”, 1860

Tra gli studiosi di fumetto ottocentesco, è sempre più in voga discutere di graphic novel.

Naturalmente sto scherzando. D’altro canto, ci sono almeno due ragioni che rendono irrealistica l’ipotesi di un simile dibattito:

1) il concetto di graphic novel. Un’invenzione tardonovecentesca che calza solo in parte quando parliamo di fumetto nell’800;

2) la scarsità di esempi. Non tanto di fumetti – ché nel XIX sono tanto ‘dimenticati’ quanto numerosi – ma di quella particolare formula che, col senno di poi, chiamiamo graphic novel, e che con minore approssimazione si tende(va) chiamare graphic album.

Un’approssimazione, dunque. Eppure.

Eppure accade che talvolta, da ricerche puntigliose come da ritrovamenti fortuiti, alcuni di questi esempi balzino fuori. E l’ultimo caso è un tomo di un certo peso: ben 172 pagine. Si tratta di un volume intitolato “Canotiers”, datato 1859/61, realizzato dagli sconosciuti Verdier e Oscar Duflot, recuperato e messo in vendita dalla casa d’aste francese Ader, che lo descrive così:

documento prezioso, vero e proprio fumetto sui primi tempi della moda del canottaggio lungo la Senna e dei bagni intorno a Croissy e a La Grenouillère, e sui paesaggi delle rive della Senna alcuni anni prima dell’avvento degli Impressionnisti.

Il volume è in realtà costituito interamente da disegni originali: si tratta di un lavoro pensato per non essere stampato ma, con ogni probabilità – come ha osservato Antoine Sausverd – per essere sfogliato tra amici. I protagonisti sono i due autori stessi, che narrano situazioni e episodi tipici delle attività vacanziere, sportive e sociali di quelle zone.

Un assai raro graphic novel ottocentesco in originali, quindi. E sempre usando il nostro sguardo odierno – con le sue parole d’ordine – persino qualcosa di più specifico: graphic journalism ottocentesco.

Certo, graphic novel e graphic journalism rimangono categorie – per un dibattito fra studiosi del fumetto del XIX secolo – abbastanza approssimative. Ma come parole-chiave, restano una eccellente approssimazione.

via Topfferiana

Il ‘panino’ Topolino – Tv Sorrisi: il marketing come racconto

Non mi pare sia cambiato molto, nell’ultimo anno: di Topolino si continua a parlare poco, pur restando il settimanale di fumetti più diffuso in Italia.

Sarà la solita questione del declino ‘sociale’ dell’immaginario disneyano. Sarà il tema della crisi di qualità del prodotto (una discreta sintesi è nel recente Topolino e il fumetto Disney italiano. Storia, fasti, declino e nuove prospettive, di Andrea Tosti, Tunué). Sarà che la fumettologia italiana ha altri interessi. Eccetera eccetera.

Ma è anche vero che con la nuova direzione, da un annetto – e nonostante i tagli Disney allo specifico segmento della produzione di fumetto – sono arrivati alcuni segnali di rinnovata vivacità. E alcune idee quantomeno curiose. Come questa: imbastire un racconto intorno a una ‘mera’ operazione di co-marketing: il cosiddetto “panino editoriale”, ovvero l’abbinamento di due testate. In questo caso, Topolino e Tv Sorrisi & Canzoni:

In un curioso cortocircuito progettuale, il fumetto che racconta questa operazione è un “Toporeportage” (Topolino n. 2924). Ovvero la versione topolinesca del comics journalism – una tradizione inaugurata oltre due anni fa, da un’idea di Tito Faraci, caratterizzata da: un peculiare stile grafico “sketchy”, eccentrico rispetto ai canoni dell’estetica disneyana; e un’attenzione all’industria dei media e del giornalismo che mescola protagonisti immaginari (i paperi-giornalisti) e reali (celebrità, autori e redattori della testata stessa).

Alcune note sparse:

  • osservate i credits degli autori: se nei primi Toporeportage si parlava di testi e disegni, qui compare la dizione “graphic journalism”. Un dato doppiamente significativo: della crescente naturalizzazione di un termine pressoché esoterico solo pochi anni fa; e della consapevolezza di questo registro comunicativo da parte della redazione, che ritiene ormai opportuno dichiararlo (persino in inglese).
  • la tecnica grafica è a tutti gli effetti una “tecnica mista”: disegno e fotografia. Il collage è quindi facilmente legittimato, persino nel tradizionale universo del visivo disneyano.
  • l’avventura tra redazioni immaginarie (il Papersera) e reali (Topolino e Sorrisi) testimonia la consapevolezza della redazione su un nodo cruciale: la centralità della testata Disney nel sistema dell’informazione. Lo segnala l’importanza assegnata al ruolo ‘ponte’ di Vitali, ex vice di Topolino ora vice a Sorrisi: il trasferimento di professionalità tra il settimanale disneyano e quello mondadoriano diventa un fatto raccontabile, che dice di come esistano legami ‘naturali’ tra l’universo della produzione Disney e quello dell’informazione in senso lato.
  • la breve storia si presenta, in definitiva, come una sorta di piccola “pedagogia del marketing”, in grado di raccontare la quotidianità dietro alla vita di una testata di fumetti, qui “svelata” come prodotto culturale immerso in un mercato (l’editoria periodica).

Da un certo punto di vista, niente di che: nella tradizione pedagogica del fumetto disneyano, questo episodio non è che una variazione sul tema (se volete, sempre più di attualità). Ma da un altro punto di vista, è anche un piccolo gesto di radicale svelamento della “macchina”: un raccont(in)o sulla complessità nel tracciare confini tra giornalismo e finzione narrativa, tra creatività e lavoro, tra immaginari e mercato.

Il fumetto Disney, accusato – e spesso a ragione – di vivere solo in una “bolla” fatta di autoreferenzialità – astorica, con questi Toporeportage (e con questo specifico caso) arriva a mettere a nudo i propri meccanismi di ancoraggio sociale. Quasi sfacciatamente. Ricordando che sono anche (soprattutto?) di natura produttiva, commerciale, di marketing. E rendendo così *visibili* ai suoi lettori – grandi e piccini – le sue regole, ovvero i suoi limiti: gli articolati confini entro cui prende vita, oggi.

Insomma, non vorrei essere frainteso: questo episodio non è che un piccolo aneddoto, che di certo non resterà nella storia del fumetto disneyano. Ma un piccolo aneddoto il cui nodo sta in un punto a mio avviso importante: la trasparenza sull’identità del prodotto.

E allora qui sì, sarò ottimista: per me è un segnale. Che la redazione di Topolino ha ripreso un percorso di riflessione – non scontata – sul prodotto. Lo testimonia anche un ciclo di storie in corso proprio in queste settimane: “La storia dell’arte di Topolino”. Ci ritorneremo presto.

Un bigino sul giornalismo a fumetti

Che cos’è il “comics journalism”? Un fumettista-giornalista americano, Dan Archer, ha recentemente provato a rispondere in estrema sintesi. Con un breve fumetto, naturalmente.

Archer sostiene la tesi delle origini primo-ottocentesche, con alcuni lavori su Harper’s magazine. Ma soprattutto, argomenta diversi punti chiave: la (apparentemente) diversa soggettività del disegno, la (apparentemente) diversa tecnica di raccolta delle notizie. E il tema dell’integrazione, nel supporto digitale, con strumenti ipertestuali e interattivi.

Insomma: un brillante bigino.

via Poynter

La fumettista arrestata durante Occupy Oakland

Tra le iniziative del movimento Occupy nei giorni scorsi, ce n’è una che ha visto spiacevolmente coinvolta una fumettista. Susie Cagle, figlia d’arte (suo padre è Daryl Cagle, noto cartoonist per MSNBC.com) è stata infatti arrestata a Oakland, in seguito all’occupazione del porto che, pur avvenuta pacificamente, è in seguito degenerata in alcuni episodi di violenza.

La fumettista è stata rilasciata dopo circa un giorno, e oggi ha ripreso a raccontare su Twitter gli eventi di Oakland e la sua esperienza.

Susie era presente sulla scena come giornalista, perché da giorni era impegnata a seguire le azioni del movimento, per un progetto di comics journalism (finanziato attraverso la piattaforma di crowdfunding giornalistico spot.us). La settimana prima aveva già avuto problemi, subendo un intervento con gas lacrimogeni da parte della polizia locale.

Inconvenienti del mestiere, per certi versi.

Ma il dato che ha suscitato preoccupazione (sia tra i giornalisti che tra i colleghi fumettisti) è che l’arresto è avvenuto nonostante l’autrice avesse mostrato chiaramente alla polizia il badge stampa. Un poliziotto, a quanto ha raccontato, la aveva persino riconosciuta (conosceva i suoi fumetti). Ma non è bastato, perché le notizie dicono che verrà comunque processata entro un mese, con l’accusa di avere commesso un’infrazione: “present at raid”. Una definizione discutibile se non confusa, che ha suscitato reazioni stupefatte e che ha fatto dire all’autrice stessa: “pare una tattica per impedirmi di raccontare quel che accade”.

Speriamo non sia così.