Fumetto brut

In questo intenso mese dicembrino, con pochi post causa (temporaneo) trasferimento, ho lasciato indietro un tot di cose. Tra queste, la segnalazione di una mostra dall’oggetto particolarmente curioso: le relazioni tra fumetto e art brut.

Si intitola AB/BD (Art Brut – Bande Dessinée), e per chi fosse nel torinese c’è ancora qualche giorno, fino al 29, presso Rizomi, una galleria dalla linea culturale unica, specializzata com’è in art brut e outsider art.

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Gianfranco Corbetta

Dominique Théate

Dominique Théate

I lavori esposti sono quelli di Gianfranco Corbetta, Serge Delaunay, Giga, Dominique Théate e William Tyler, la cui prossimità con il fumetto è di varia natura, iconografica e linguistica:

Esistono autori irregolari che recuperano infatti la struttura narrativa canonica del fumetto nella loro arte ed esistono autori del fumetto che si muovono in modo “irregolare” rispetto alle tante convenzioni della loro arte. Ricerche e intrecci sono già d’altra parte stati esplorati e pubblicati in Match de Catch à Vielsalm libro che unisce autori dell’editore franco Belga Frémok e creatori del CEC la Hesse che vanta tra le collaborazioni anche quella con l’atelier italiano Blu Cammello.

Come cercano di descrivere i testi in catalogo (di Erwin Dejasse, Teresa Maranzano, Riccardo Bargellini e del sottoscritto), i punti di contatto tra questo filone artistico e il fumetto sono essenzialmente di due ordini: sociale (la pratica di un’arte ‘marginale’ da parte di soggetti culturalmente outsider rispetto al sistema dell’arte) e linguistico (la pratica di una idea ‘frammentaria’ delle immagini, vista come soluzione cognitivamente più idonea a rappresentare la frammentazione identitaria e cognitiva dei soggetti stessi: uomini e donne borderline, ossessivo-compulsivi, con problemi comportamentali o psichici).

William Tyler

William Tyler

Giga

Giga

Dal mio punto di vista, è proprio in questo secondo aspetto che trovo la sponda più interessante. Perché credo permetta di riflettere su un nesso tanto complesso quanto poco frequentato dalla fumettologia tradizionale: la dialettica tra disegno, corpo e mente. In fondo, lo stesso nodo intorno a cui ruota gran parte del migliore “fumetto autobiografico”, da Justin Green a Alison Bechdel.

Serge Delaunay

Serge Delaunay

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Nel frattempo, ad Angoulême

Qualche giorno fa, sceso dal treno ad Angoulême (al solito, in periodo non festivaliero, cittadina allegra come un banco di nebbia), mi sono imbattuto nei canonici strilli della stampa locale. Rispetto al solito, avevano qualcosa di sarcasticamente italiano: “Cultura est arrivée”, recitava qualche titolo. Peccato che, in questo caso, la parola *cultura* andasse intesa in ben altro modo: un trademark. Quello della nota, ehm, catena della grande distribuzione:

cultura

Si trattava di una fresca notizia attesa da tempo: il festival di Angoulême, abbandonato pochi mesi fa (e malamente) da una Fnac in crisi ma anche delusa dai risultati, ha trovato un altro main sponsor in un medio-grande retailer nazionalpopolare (stessa proprietà di Auchan, per capirci; 52 punti vendita in Francia, soprattutto in provincia) dedicato a libri e prodotti culturali. Cultura, appunto [pronuncia: culturà].

Navigo sul sito e scopro che Cultura ha avviato la campagna dicembrina con il claim “fornitore ufficiale di Babbo Natale”. Alzo gli occhi dal telefono, e vedo che anche il Comune di Angoulême ha avviato una campagna natalizia. Guarda caso, il claim è fumettistico, con tanto di celebre espressione di Astérix, in un balloon:

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Per quanto riguarda il corso che ho tenuto all’EESI, la vera novità è stata nella composizione degli studenti. Per la prima volta, al di là dei soliti (notevoli) talenti tra gli aspiranti autori, ho trovato in aula persone venute per approfondire solo gli aspetti storici e teorici del fumetto. Una presenza che dimostra la complessità crescente della richiesta di formazione sul fumetto. Cui si aggiungono, peraltro, studenti venuti non dal solito iter artistico, ma da quello letterario. Scrittori, disegnatori, critici, docenti, curatori: ecco cosa riesce a formare un curriculum fumettistico completo e moderno, che riesca a integrare teoria e pratica.

Ma la formazione, qui, funziona anche perché non è isolata, e la relazione fra EESI, Cité, Maison des Auteurs continua a dare frutti interessanti, con mostre, workshop ulteriori, e la continua attrazione di talenti internazionali grazie alle politiche di residenza d’artista. I nuovi arrivati, tra i fumettisti stranieri residenti, sono gli statunitensi Matt Madden e Jessica Abel, che si fermeranno qui per ben due anni; lei con due bei progetti (uno US e uno francese), lui con altri progetti e l’abituale quantità di idee oubapiane. [inciso: uno spasso, peraltro, sentirli ricordare la scena indie italiana degli anni 90, che conobbero in ripetute occasioni].

In un buon pomeriggio, sono riuscito anche a visitare le mostre attualmente in corso alla Cité de la BD et de l’Image e presso il Musée de la BD. Due piccole mostre quelle alla Cité – il festival si fa imminente e gli spazi sono tenuti pronti ai nuovi allestimenti – Luxe et Beauté e Raymond Poïvet. La seconda, dedicata a un autore popolare ormai semidimenticato, mi è parsa quella più interessante. Sia per la qualità del segno e dell’immaginario, sia per un vero proprio scoop che la riguarda.

Tra le storie esposte ce n’è infatti una poco celebre, Allô ! Nous avons retrouvé M.I.X. 315 ! Il est vivant. Nous allons le sauver !! che ricorda incredibilmente Arzach di Moebius. Una storia muta, sviluppata in una sorta di scrittura automatica, con dinoccolati scimmioni, e con creature alate preistorico-fantastiche, cavalcate a mani nude:

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Potete leggerla per intero qua. E’ una storiella fantastica, realizzata con inusitata libertà – all’epoca – nella tecnica di scrittura, nell’espressione e nella produzione di un immaginario fantastico archeo/fantascientifico. Una prossimità evidente soprattutto sul piano visivo, che alcuni testimoni dell’epoca – Jean Pierre Dionnet (negli stessi commenti online) – hanno peraltro confermato: Moebius vide davvero quella storia, e ne rimase colpito. Al punto dal ripescarla dalla memoria (inconsciamente? consciamente? Questo non lo sapremo mai) al momento di realizzare quel viaggio archeo/sureeal/scifi che nel 1975 sarà Arzach, uno dei capolavori del fumetto europeo. Un’opera che, senza questa storiella del dimenticato Poivet, probabilmente non sarebbe mai nata.

Delle due mostre al Museo, invece, Dalì par Baudoin e Quelques instants plus tard… : art contemporain et bande dessinée, quella che mi è parsa più interessante è stata la seconda. Sia perché alcune delle 40 ‘coppie’ fumettista/artista hanno generato collaborazioni riuscite (Baudoin & Ben Vautier, Joël Ducorroy & Willem, Marc Giai-Miniet & Jacques de Loustal…), sia perché altre hanno prodotto memorabili tonfi. Quella che mi è piaciuta di più è stata in realtà il lavoro giocoso e al secondo grado di Christian Balmier, che creato una serie di lettere immaginarie, inviate da lui stesso a personaggi come Bianca Castafiore, memorabile vedette del più formalista tra gli albi di Tintin:

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La collaborazione che mi ha sorpreso di più, però, è quella tra Milo Manara e Alain Declerq. I due hanno realizzato una enorme donna ritratta di spalle – intitolata “Proiettile perduto” [Balle perdue] – creando un’opera tanto banale quanto greve. Una sorprendente buzzurrata d’autore, diciamo:

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Passeggiando per l’edificio della Cité, ho poi dato un’occhiata alle novità esposte nella Biblioteca. Scoprendo un piccolo dettaglio – un espositore dedicato ai libri in nomination per gli Essentiels – che dice sia dell’influenza del festival di Angoulême su alcuni luoghi di diffusione, sia dell’attenzione di certi spazi pubblici verso l’attualità della cultura fumettistica. Piccoli dettagli di un sistema più integrato (maturo?), potremmo dire:

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Al Museo, invece, un’occhiata alla sezione delle opere permanenti mi ha fatto notare i “soliti” italiani che imperversano sul versante vintage: un originale di Luciano Bottaro, due dischi illustrati da Pratt:

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E proprio mentre sono in Francia, scopro di essere finito in un aggregatore di feed fumettologici creato dalla stessa Cité. Un grande piacere. Ma ci sarebbe molto altro da dire. Sugli studenti, sui fumetti che ho letto (Spirou) o regalato (Dylan Dog), su quanto sia stato stimolante e soddisfacente il festival parigino SOB, sulle abituali polemiche festivaliere e sugli inquietanti retroscena (fosche visioni: il festival rischia una fine alla Ente Max Massimino Garnier a Lucca?), o su nuovi progetti in partenza proprio da qua.

Ormai, però, sono sulla via del ritorno. E a riaccompagnarmi al punto di partenza ci pensa un titolo surreale, da un articolo de Les Inrocks:

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Lode della patologia (Spiegelman sul collezionismo)

Nella grande mostra curata da Art Spiegelman per l’ultima edizione del festival di Angouleme, il “Museo Privato di A.S.”, compariva un suo testo dedicato al collezionismo. Si trattava di un sentito ringraziamento al principale collezionista con cui aveva collaborato per la realizzazione della mostra, Glenn Bray, ma anche una breve e divertita disamina delle forme del collezionismo fumettistico.

Il testo si intitola “In praise of pathology”, e ve lo traduco qui.

Esistono generi molto differenti di collezionista. Freud attribuiva l’origine di questo tipo di passione ad un fenomeno di ritenzione anale, ma in fondo era spesso un guastafeste.

Da un lato ci sono gli Accumulatori, ovvero coloro che arrivano a trasformare le proprie case in pericolosi percorsi a ostacoli, con tesori e spazzatura mescolati insieme. Chiunque abbia camminato nella grande casa vittoriana di Bill Blackbeard, l'”Accademia del Fumetto di San Francisco”, un’abitazione su tre piani con solo stretti sentieri tra le altissime pile di raccolte rilegate di quotidiani presenti ovunque tranne in bagno (per paura di danni per l’acqua), potrebbe avergli diagonisticato questa patologia. Per quanto dotato di discernimento e capacità di preveggenza (Bill conosceva la differenza tra la spazzatura e i tesori meglio di chiunque altro) egli provò a collezionare Tutto… e il suo servizio alla mia forma d’arte è stato eccellente.

Io stesso presento alcuni pericolosi tratti da accumulatore (dovreste venire a vedere, prima o poi, la mia collezione di batterie semi-esauste e di evidenziatori scarichi) ma sono più un Accumulatore Casuale, ovvero di quel genere che permette a ogni genere di libri usati e di opere originali di accatastarsi accanto ai gioielli che talvolta ho impiegato anni a rintracciare. E inoltre non sono uno che si prende cura come si deve dei pezzi di valore che mi sono affidati – nessuno dei miei libri rimane in condizione ‘mint’ a lungo.

Quelli come noi non perdono tempo con i Mercenari, quella stirpe malata che colleziona principalmente per farci qualche soldo. Passiamo quindi a occuparci della specie più rara: gli Intenditori, che dedicano risolutamente le proprie vite a raccogliere intorno a sé gli oggetti che amano.

Glenn Bray, ritratto (by Gary Panter, Bob Zoell, Mick Haggerty, Lou Beach; 1985)

Glenn Bray è una bestia rara, un Intenditore Generoso, disposto a condividere e prestare le proprie preziose scoperte per mostre e libri. Con l’occhio di un artista, ha salvato e si è preso cura di un genere di lavoro di cui la maggior parte del mondo non ha mai saputo bene cosa farsene. Basil Wolverton, Harvey Kurtzman e svariati altri artisti della EC Comics, per esempio, sono in mani sicure per i posteri grazie a lui. E la sua più che sensata collezione di fumetti underground e alternativi, con una speciale predilezione per gli ‘outsiders’ come Rory Hayes, è unica nel suo genere. (Sebbene sia solo un membro di quella specie americana in via di estinzione, la vera Classe Media, Glenn ha dedicato un bel tot dei propri soldi per dventare il santo patrono per alcuni di quegli outsiders marginali, commissionando e incoraggiando il loro lavoro quando pochi altri se ne preoccupavano). Lo ringrazio per la sua passione compulsiva di tutta una vita, e per il suo generoso condividere così tanti dei propri risultati qui, per questa mostra – che senza di lui non sarebbe esistita!

Il testo, in versione tradotta in francese, è online qui. E l’originale inglese, in una (pessima) foto scattata durante la mostra, è qui:

Manga al Centre Pompidou

Di questo evento si parlava da anni – almeno quattro, se ben ricordo. E questa settimana verrà finalmente inaugurato: si intitola Planète Manga!, e si svolgerà dall’11 febbraio al 27 maggio presso il Centre Pompidou di Parigi, nei tre spazi Studio 13/16, Cinémas e Bpi (Bibliothèque publique d’information):

Il programma è indubbiamente fitto (per i dettagli rimando alla brochure scaricabile in pdf qui), e comprenderà proiezioni di film e documentari (oltre 100), atelier e attività laboratoriali, incontri con autori e conferenze:

Tra gli autori invitati per dibattiti e presentazioni da Giappone, Taiwan, Corea del Sud, Cina: Hagio Moto, Takemiya Keiko, Fumiyo Kôno, Chen Hung-Yao, Sim Heung-ah, Sobogi, Jong-Min Baek, Han-Jo Kim, Yan Cong, Hu Xiaojiang/Story Of, Tang Yan DN, Wangshuo, Zuo Ma, Wangcha, Chihoï.

Ma come noterete facilmente, a mancare sono due ingredienti. Tra gli ospiti non c’è nessun pezzo da novanta: niente Otomo, Miyazaki, Matsumoto, Nagai, Toriyama, Mizuki, Tatsumi… E soprattutto: nessuna mostra.

Già: niente celebrazione dell’arte del manga, della sua identità editoriale, della sua natura disegnata. Una scelta progettuale, naturalmente. Le cui ragioni mi sono oscure (non ne ho discusso con il curatore, anche se ne ricordo l’intenzione di evitare formule rituali nella recente museologia fumettistica). Ma che certamente fanno riflettere su questioni come la complessità (gestionale, economica, legale) o la difficoltà concettuale di integrare pienamente – per estensione dei materiali, diversità dei contenuti, e soluzioni di allestimento – questo genere di produzione culturale all’interno di un’istituzione museale come il Pompidou.

Infine, due considerazioni.

Da un lato questa mostra mi pare un segnale in controtendenza, visto che arriva in una fase di contrazione del mercato del manga in Francia, come ci hanno mostrato negli ultimi tre anni i dati di ACBD e GfK.

Dall’altro, è però una conferma: quella della centralità francese non solo nel mercato del manga, ma nella sua consapevolezza culturale.

Venti anni fa, in pieno boom dei manga pubblicati da editori come Glénat, Granata e Star – innestatosi su un brodo di coltura generazionale alimentato da 15 anni (in overdose) di animazione nipponica – l’Italia fu nelle condizioni di avviare un ruolo di leader nella mediazione tra Oriente/Occidente di questa forma culturale. Come è evidente, questo non è accaduto.

Ritornello: differenze tra chi si occupa (ehm) di Pompei e chi di Pompidou?

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[Angouleme 2012] Scene di ordinaria cognacologia (disegnata)

Per rendere l’idea del rapporto tra Angouleme (fumetto) e Cognac (alcolici), una foto scattata ieri al Museo delle Arti del Cognac, sezione emeroteca: