Harry Potter, o la fine della civiltà

Il 30 giugno del 1997 usciva in Gran Bretagna Harry Potter and the Philosopher’s Stone, primo volume della serie letteraria che più di ogni altra ha spostato in alto l’asticella del concetto di Bestseller, costringendo gli analisti a coniare l’ormai diffuso (e bramato…) concetto di Megabestseller.

Di questo successo mi sono occupato, a suo tempo, nell’ambito di una ricerca sui meccanismi del ‘successo culturale’ (un progetto riuscito, la cui parte di modellizzazione mi sembra continui a funzionare oggi, al di là dei singoli casi).

Dopo 14 anni dal suo debutto, e dopo 5 dal lavoro sul campo per cercare di comprenderlo e spiegarlo, Harry Potter è ancora lì. E insomma, ci ripensavo un po’. Così mi è tornata in mente una strip del bravo cartoonist Richard Thompson (già colonna portante del Washington Post, da qualche anno alle redini della pluripremiata Cul de Sac). Che non è male, per sintetizzare – e ghignare su – gli effetti profondi della harrypotterizzazione:

[Cinecomics OFF] Né in vendita né a noleggio

Di film realizzati da fumettisti francesi si parla sempre più spesso: Marjane Satrapi, Joann Sfar, Zep, Riad Sattouf…

Pascal Rabaté è invece uno di cui si sente parlare poco. Sarà il caso. O l’immagine di un autore meno egomaniac dei precedenti. O saranno i suoi lavori, eccellenti parabole mai abbastanza sorprendenti per farsi ricordare con pervicacia.

Eppure a Rabaté il talento non manca. E oggi esce nelle sale francesi il suo secondo film, Ni à vendre, ni à louer, dopo I piccoli ruscelli di un anno fa. Questo recente lavoro non è però un adattamento fumettistico ma, semplicemente, una commedia inedita “di scuola Tati” ambientata in un paradossale weekend al mare. Un omaggio quindi alle Vacanze di Monsieur Hulot, il cui difetto principale, secondo alcuni, risiede solo nell’essersi dato un modello tanto perfetto. Ma come vedrete nel trailer, un difetto d’ambizione che non rovina per nulla la splendida ‘scienza del ritmo’ di sequenze quasi mute, realizzate con mano felice:

E ‘finalmente il week-end, un week-end di primavera sulla costa atlantica. In questo fine settimana, due pensionati si recano nella loro seconda casa – una casupola grande come un francobollo – e incontrano una coppia di punk che come abitazione ha una casa disegnata sulla sabbia. Poco lontano, due impostori vestiti di arancione e verde si dedicano al golf nei pressi di un corteo funebre. Nel frattempo, un rappresentante di ombrelli ha un appuntamento con una maitresse sadomaso in un albergo in riva al mare, dove soggiornano due coppie la cui esistenza viene sconvolta dalla perdita di un aquilone. Si parla anche di studenti di belle arti, auto sportive, auto senza patente, golf car, auto rubate, caravan, tele di tende, di un lettore di codice a barre, una cornice decorata con conchiglie e di una tempesta notturna. Un week-end in cui i destini, le classi sociali, le generazioni, il sentimento, i dolori come i piaceri, si incrociano. Un week-end al mare, insomma.

Imparare il cinese, con disinvoltura

Non so voi, ma il milanese capisce che è estate – purtroppo – quando la cappa di canicola (oltre a rendere l’asfalto molle) attiva il count-down psicologico: quante settimane alla partenza?

Le vacanze diventano un – eccitante&patetico – chiodo fisso, e ci si inizia ad attrezzare. Nel caso abbiate in programma tappe in Asia, e in Cina in particolare, ho una risorsa da suggerire. E’ un rapido ed efficace corso di lingua. Si intitola “Il cinese con disinvoltura”, ed è una serie di – spassosi&utili – post disegnati da Stefano Misesti:

Non può essere

Ernie Bushmiller, Nancy, 1960

Vittorini e il graphic novel

Il volume Vittorini e i balloons. I fumetti del Politecnico, di Annalisa Stancanelli, è un agile saggio in parte utile e in parte futile.

Utile, perché mette a disposizione, in una piccola monografia, i principali materiali disponibili su una vicenda importante: il ruolo di Vittorini per il fumetto, e viceversa.

Futile, perché lo fa seguendo un’ottica che è più compilativa che interpretativa: quasi metà delle 100 pagine è dedicata a scansioni di articoli del Politecnico, e il resto è affidato ad una ricostruzione che sostanzialmente passa in rassegna, commentandoli, articoli e interviste.

Se dunque il lettore si attendesse una vasta contestualizzazione storica, ed un affondo nella vicenda intellettuale di un animatore culturale decisivo come Vittorini, ne resterebbe frustrato: non troverà infatti che uno strumento di consultazione, più che una visione d’insieme. Una occasione persa, insomma, per rilanciare – a partire da Vittorini – la più ampia questione del rapporto tra intellettuali italiani, mondo letterario e cultura del fumetto. Peraltro, con spiacevoli (nulla di nuovo, per carità – e con parecchie scusanti per l’autrice, vista la scarsità di fonti attendibili) cadute storiografiche:

Il fumetto, propriamente inteso come narrazione fatta attraverso elementi esclusivamente grafici, nasce il 5 maggio 1895 quando il disegnatore americano R. C. Outcault realizzò una vignetta che aveva l’innovativa caratteristica di riportare i dialoghi dei personaggi racchiusi in una nuvoletta (balloon) di “fumo” (da qui fumetto)

[e in nota a piè di pagina, la Stancanelli mostra i limiti della propria ricerca bibliografica sulla storia del fumetto: “si vedano le sezioni relative dei siti http://www.lfb.it, http://www.paomag.net, http://www.martello.it, http://www.ubcfumetti.com”%5D

Ma per guardare agli aspetti utili, vorrei sottolinearne uno. Che ho trovato affidato alle parole di Raffaele Crovi:

Vittorini ha affermato che uno “spirito di fumetto” lo aveva guidato anche nel gusto del montaggio con immagini nell’orchestrare Americana, la sua famosa antologia della letteratura statunitense (del 1941); la stessa attenzione all’uso delle immagini lo guidò nel progettare e impaginare “Il Politecnico” […]

Vittorini ha anche dichiarato che nella sua celebre collana einaudiana di narrativa (che si sviluppò in 58 volumi dal 1951 al 1958) avrebbe voluto pubblicare un romanzo a fumetti o un fotoromanzo sociale; ma non riuscì a scovarne i possibili autori.

Nel suo piccolo, e col senno di poi, potrebbe essere una notizia: Vittorini cercava autori cui commissionare un graphic novel. Ma a metà anni 50, una simile intenzione poteva rivelarsi meno banale del previsto. E’ poi interessante notare che Crovi allude, in alternativa, ad un “fotoromanzo sociale”. E sebbene l’associazione tra fumetto e fotoromanzo possa fare sorridere, non deve stupirci: Vittorini, anche in questa occasione (seppure via relata refero) dimostra come il suo interesse per il fumetto si fondesse in un più ampio – e generale, e generico – interesse per le immagini. Un editor sensbile alla creazione di oggetti editoriali che delle immagini facessero uso, come parte integrante del design librario.

Naturalmente la questione che si pone qui – e che sarebbe stato interessante vedere sviscerata in un simile saggio – potrebbe essere posta in questi termini: quale valore avevano le immagini (disegnate) per Vittorini? Quello di linguaggi visivi “in sé”, oppure quello di strumenti – compiuti, per carità – nel contesto di un progetto culturale fondato sulla centralità della parola? E in che misura i comics furono, nel dopoguerra, un campo in cui si scontrò – forse per l’ultima volta – una visione drammaticamente “alfabetica” (come l’ha chiamata Abruzzese) della cultura moderna, con la sua controparte (anch’essa di drammatica profondità, come la parabola berlusconiana si è trovata poi ad incarnare, in chiave opposta e contraria)? In che misura Vittorini, attraverso il ‘caso’ del fumetto, rappresenta davvero un tentativo di superamento – nel regime delle immagini – dell’antico distacco tra letterati e popolo (come auspicato da Gramsci), o piuttosto rimane un’evoluzione, diciamo ‘riformista’, della tradizionale pedagogia culturale fondata sulla centralità letteraria e l’ancillarità dell’immagine disegnata?

Speravo di riporre questo libro con una risposta a simili domande, per quanto grossolane. E invece ho scoperto che Vittorini era “solamente” pronto a creare un nuovo modo di proporre fumetti: dare loro un corpo e un formato romanzesco. Anche a costo di stirare la definizione di ‘romanzo a fumetti’ fino a fare questo:

[è sempre Crovi a parlare] Soddisfece, però, in un certo senso, questo desiderio molti anni dopo, programmando per la sua collana mondadoriana  Nuovi Scrittori Stranieri (dove documentò l’innovativa creatività espressiva anche di Kawabata, Perec, Kluge, Sylvia Plath), i romanzi a strisce L’antichissimo mondo di B.C. di Johnny Hart (nel 1965) e I polli non hanno sedie del franco-argentino Copi

In un simbolico e insieme concreto passaggio di consegne, sarà lo stesso Raffaele Crovi a compiere una delle scelte editoriali che più hanno influenzato la storia della cultura fumettistica, in Italia e non solo:

come nuovo responsabile della produzione mondadoriana nel 1961 pubblicai I fumetti, un documentato saggio di Carlo Della Corte (veneziano del Lido, amico dei fumettari Alberto Ongaro e Hugo Pratt)