Jannacci in due balloons

Quando ero piccino, in Città Studi era facile incrociare il dutùr. Qualche volta a piedi nelle vie dietro casa, qualche altra sulla sua Vespa. Ricordo ancora la volta che, dopo una caduta dalla Vespa, tra edicola e panettiere si era diffusa un’aria da micro-dramma. Ero piccino, e di quella bizzarra celebrità d’antan e di quartiere, amico-di-parenti, francamente mi importava poco.

Quanto fosse interessante la sua musica l’ho capito tardi. Quanto basta per avere voglia, oggi che se n’è andato, di aggiungere il mio piccolo pensiero. Con una piccola storia di balloons.

La storia è quella dell’album “Le Canzoni di Enzo Jannacci“, uscito nel 1968 per Ricordi a ridosso del successo di Vengo anch’io? No, tu no. Un disco che uscì, a breve distanza, in due edizioni. Con una piccola differenza: i balloons.
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Nella prima edizione, il titolo della celebre canzone è riportato, scomposto, in due balloons pronunciati dallo stesso Jannacci. Ma la canzone non è inclusa nell’album: la raccolta assembla solo canzoni (di proprietà Ricordi) precedenti al successo (di proprietà RCA), in cui il riferimento in copertina è solo una sorta di trovata dell’ultimo minuto (tanto pretestuosa quanto geniale, dal nostro punto di vista).
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La seconda edizione, probabilmente successiva a qualche rimostranza da parte della RCA, uscì quindi modificata in un solo dettaglio: il riferimento in copertina a Vengo anch’io? No, tu no! era sparito. Ma non i balloons. Che anzi, a rivederli oggi, proprio in questa seconda versione ‘lettrista’ – ???? !!!! – sembrano contenere l’essenza melodica di quella splendida canzone bastiancontraria.
E sulla storia della versione di Vengo anch’io? No, tu no! firmata Dario Fo, inequivocabilmente più brutta, ha scritto un altro musicista. Anzi, un musicista oggi fumettista: Gianfranco Manfredi, qui.

 

Dylan Dog e Dylan Dog percepito (in Francia)

Per Dylan Dog è un buon momento. Quantomeno come property.

Un mese fa ha debuttato con Repubblica la “collezione storica a colori”. E sempre un mese fa, in Francia, ha esordito la collana cronologica Dylan Dog pubblicata da Panini Comics France.

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L’edizione francese mi pare un’operazione interessante, per due ordini di ragioni:

  1. la prima è banale: è una nuova opportunità di esportazione – nel maggiore mercato occidentale – per il maggior successo seriale italiano degli ultimi 30 anni. Un ennesimo tentativo, per la verità, che segue un tot di insuccessi e delusioni: prima Lug (2 uscite), poi Glénat e infine Hors Collection (4 uscite). Ormai superato il “non c’è 2 senza 3”, si spera sia la volta buona.
  2. la seconda è che pare una buona occasione per provare a capire come Dyd sia percepito e posizionato in un mercato straniero. Non un mercato estero qualsiasi: non solo il più importante, ma anche quello più “vicino” geograficamente, con la maggiore intensità di scambi con l’editoria nostrana – in definitiva, e in cui è presente la maggiore consapevolezza sulla produzione (anche storica) fumettistica italiana.

Visto il sostanziale insuccesso delle edizioni precedenti, la stampa specializzata (online) non sembra avere notato più di tanto l’iniziativa. Ma quel che è interessante, più che la mera estensione quantitativa della rassegna stampa, è il contenuto degli articoli che ne parlano.

  • PlaneteBD spende poche parole, sottolineando si tratti di una sorta di serie anticipatrice di Hellblazer, e di un genere ibrido fra noir e horror, con una buona dose di umorismo.
  • Molto più approfondito è il dossier che gli dedica BDZoom, webmagazine da sempre tra i più attenti alla produzione italiana. Il sito si concentra soprattutto sui disegnatori dei primi due episodi, Stano e Trigo; presenta una qualche gallery su altri disegnatori; e ne ricostruisce la storia editoriale francese.

Tuttavia: sia PlaneteBD che BDZoom non parlano del creatore della serie. La sola BDzoom promette un articolo su Tiziano Sclavi in futuro, nella propria rubrica di ‘storia’ del fumetto. Che si tratti di una serie dall’impronta quanto mai autorale, e legata alla figura di uno dei maggiori talenti del fumetto popolare italiano, non c’è traccia.

La descrizione della serie fatta da BDzoom è ricca di dettagli “di genere”: la somiglianza del personaggio con Rupert Everett, l’ambientazione londinese e gotica, i riferimenti al cinema horror e alla letteratura, la sua professione di investigatore a caccia di zombie vampiri e ‘mostri vari’, la pasisone per il clarinetto, le caratteristiche da seduttore…

Il risultato è chiaro: DyD è una serie horror, con un bizzarro (guascone?) protagonista. Punto.

In una simile percezione, cosa rimane escluso? Molto: la reale “personalità” della serie:

  • la dimensione critica verso il consumismo, l’individualismo e il cinismo sociale
  • la tensione psicanalitica, così come il virtuosismo nella costruzione della suspence da parte di Sclavi

Ricordate Dylan Dog: dead of night? Per quanto il film tratto da DyD pochi anni fa sia stato criticato (anche dalla stessa casa editrice Bonelli) per la banalizzazione della serie, la percezione della stampa francese – ben più competente, almeno sulla carta – pare del tutto analoga alla percezione di quello.  Come sintetizza BDzoom, Dylan Dog è:

Un mélange delirante di horror newwave e humour demenziale

Come spiegare questo fenomeno? Si potrebbe farlo ricorrendo all’abituale incomprensione francese – mista a snobismo – verso la produzione Bonelli. Una ipotesi legittima e ragionevole, ma che non tiene conto del fatto che proprio BDzoom (fondata da Claude Moliterni, forse il più noto amante di fumetti popolari italiani, tra i fumettologi francesi degli anni 60/80) ha invece sempre mostrato attenzione e stima per la produzione Bonelli. Oppure, si potrebbe farlo richiamando l’abituale bias della “critica amatoriale” che, anche in Francia, tende a collocare in una prospettiva esclusivamente “di genere” persino molte opere il cui valore trascende questo unico criterio.

Quali che siano le ragioni, la percezione (della stampa) francese è questa. Ed è difficile immaginare che, se in Italia guadagnò un indiscusso Yellow Kid lucchese nel 1990, Sclavi possa ambire, oggi, a un premio ad Angouleme. Nemmeno nella categoria Patrimoine.

Stante questa percezione, sono perciò andato a verificare cosa avesse fatto l’editore francese per comunicare la collana. Panini Comics France è infatti il ramo francese del gruppo italiano, e la sua conoscenza del prodotto Bonelli è una buona garanzia per un trattamento informato e consono. La scelta di proporre lo stesso formato italiano mi è parsa, peraltro, un indicatore positivo per il corretto posizionamento del prodotto. Perciò sono andato a visitare il sito dell’editore, alla ricerca di comunicati o quantomeno sinossi del prodotto. E ho trovato questo testo:

Ecco il grande ritorno di un eroe di culto in Italia: Dylan Dog. Questo investigatore privato specializzato nel soprannaturale, è un appassionato di heavy metal, film horror e pizze vegetariane. E’ un tipo poco raccomanabile, e tremendo come suonatore di clarinetto. A fronte di un bell’assegno, vi sbarazzerà dei mostri che infestano il nostro mondo! Ecco a voi una sua recente avventura, a colori, che segna la rinascita di un eroe come nessun altro.

Sulle pizze vegetariane come tratto saliente per definire il personaggio, mi astengo: mi sarà sfuggito qualcosa. Sul resto, mi viene solo da dire: sicuri che la gestione da parte di Panini Comics France abbia tenuto il rilancio della serie lontano dal posizionamento del film?

Incredulo per gli strampalati elementi con cui costruire, nella sinossi, il riposizionamento della serie, ho riguardato la scheda prodotto, scoprendo:

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Se questo è un rilancio, caro Dylan Dog, au revoir.

PS: su Amazon.fr, commenti appassionati e accurati che fanno ben sperare.

Il manga digitale (che) non funziona

Devo dire che sul futuro della piattaforma JManga un po’ ci avevo contato. Come iniziativa di primo piano, ovvero prima piattaforma online – in lingua inglese – dedicata ai manga, voluta dalla Japanese Digital Comics Association (arrivata a ben 39 editori), parve a tutti l’inizio di una nuova era per il manga digitale.

E invece no. A un anno e tre mesi dal lancio, JManga ha annunciato la chiusura.

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L’aspetto più sorprendente, nella comunicazione ufficiale, sono i termini stessi della chiusura: solo 15 giorni per fare fagotto. Il 13 marzo l’annuncio, e l’immediato stop ai nuovi abbonamenti; il 26 lo stop agli acquisti di singoli albi; il 30 marzo, la fine di ogni possibilità di leggere online i manga precedentemente acquistati/scaricati.

Tutto ciò nonostante non solo l’offerta di JManga fosse progressivamente cresciuta nel tempo, ma il servizio fosse persino migliorato (particolarmente apprezzata la disponibilità al dialogo coi lettori, e le attività regolari sui social media), ed i prezzi – incredibile visu – diminuiti.

Davvero di che sgranare gli occhi. Anche perché l’effetto sui lettori-clienti è enorme: la fine di tutte le “librerie online” personali. I rimborsi, in buoni Amazon, sono stati possibili solo per i clienti che avevano accumulato ‘punti’ (ma da richiedere entro 6 giorni).

La natura drammatica dell’evento, dunque, non è solo il generico fallimento di un’operazione importante, per giunta avviata dagli operatori più importanti del segmento. Né risiede solo nelle tempistiche, che pure fanno a cazzotti con l’idea di rispetto per il cliente. La questione è anche di strategia tecnologica e commerciale. Ovvero, è in capo a una scelta discutibile sulla proprietà dei file. Una scelta che dovrà fare da lezione – per i consumatori come per i produttori – su uno dei grandi nodi irrisolti dell’industria culturale digitale: i DRM.

La scelta di inserire DRM nei files dei manga, infatti, impedisce ogni possibilità di conservarli. Nonostante si tratti di files frutto di acquisti pienamente legali. E JManga non si è minimamente espresso sulla possibilità di togliere i DRM: il caso critico avrebbe potuto (dovuto?) imporre la scelta.

Nato soprattutto per contrastare la diffusione della pirateria online, tra scanlation e ripping, JManga ha provato a giocare la carta dell’offerta, del servizio, dei prezzi, ma anche del no alla lettura offline, e del no al download sui dispositivi personali. Una “linea dura” sul tema dei DRM. Che per varie ragioni – ancora poco chiare – tra cui lentezze, debolezze nel design, e un marketing sballato – è fallita. E alla faccia degli acquisti fatti dai lettori in un anno, JManga sceglie di congedarsi fuggendo dalle proprie stesse responsabilità: né rimborso, né ‘dono’ dei files acquistati. Semplicemente: sayonara. Come ha scritto un lettore/blogger:

From this day on people will always remember the demise of JManga before deciding to invest their money into any manga platform.

Il paradosso? Da paladina antipirateria, JManga tornerà con la sua chiusura e i suoi errori sui DRM a creare spazi per la diffusione illegale. E un buon numero di lettori torneranno a pascolare – selvaggi – nelle grandi praterie della rete.

Lucca versus Angouleme (3)

Riprendiamo la serie di post dedicati alla comparazione/ricostruzione svolta da Luca Raffaelli. Che nelle successive puntate della rubrica Nuvolette, è tornato a intervistare Rinaldo Traini:

LR – Traini, che ricordi hai del tuo viaggio ad Angoulême del 1974?

RT – Fu un viaggio bellissimo fatto con amici come Bonvi, Pratt e Gomboli (mi pare). Fummo accolti trionfalmente e devo dire che in quegli anni il credito del Salone e del nostro lavoro in Francia (ma anche negli Stati Uniti, Argentina, Spagna, Brasile, Belgio, U.K.) era apprezzatissimo. Credo che l’epoca d’oro del Salone sia iniziata in quegli anni. Tutto era dovuto al progetto varato nel 1968, quando ero diventato direttore, e soprattutto alla filosofia del Salone (sarei tentato di dire: l’ideologia programmatica, se fossi marxista).

Raffaelli torna quindi alle parole scritte da Francis Groux, nella sua già citata autobiografia:

Traini e Bertieri erano dei tipi molto simpatici. Io non parlavo la loro lingua, né loro la mia, ma riuscivamo a comprenderci anche perché avevo fatto un po’ di spagnolo e di latino, e questo mi aiutava. Ma soprattutto c’era la costante presenza di Claude Moliterni che facilitava la comprensione e, quando ce n’era bisogno, assicurava la traduzione. Sono infinitamente grato a loro per l’aiuto che ci hanno dato e soprattutto per aver accettato che ci ispirassimo al loro modello.

Niente di nuovo, naturalmente. Ma pur sempre una ricostruzione che torna utile agli smemorati e/o ai più giovani – sia italiani che francesi, naturalmente – mettendo nero su bianco, una volta di più, l’esplicito riferimento al modello che ispirò la nascita del festival francese: il Salone di Lucca.

A questo punto Raffaelli passa a ricostruire direttamente la creazione del salone lucchese. E per proseguire, chiama in causa indirettamente anche il sottoscritto, sottolineando un dettaglio di Fumetto! 150 anni di storie italiane: la pagina dedicata a Romano Calisi.

La scelta di includere Calisi è, tra le schede della sezione ‘Protagonisti’ (la più discussa del volume, sia da Raffaelli – che ne ha criticato alcune scelte – sia dai curatori stessi, che ci si sono accapigliati a lungo) una di quelle su cui Gianni Bono ed io abbiamo concordato rapidamente: Calisi è uno dei protagonisti dimenticati del fumetto nazionale. Uno di quelli senza il cui apporto, forse, il fumetto italiano non avrebbe oggi lo stesso volto. Quantomeno per un fatto fondamentale: se oggi esiste Lucca Comics&Games è per merito del Salone Internazionale dei Comics – prima a Bordighera, poi a Lucca – di cui proprio Calisi fu il primo presidente.

Come ha scritto Claudio Bertieri, autore del testo su Calisi in Fumetto! 150 anni di storie italiane:

La svolta si annuncia una sera del 1964, mentre si sta tirando tardi all’ombra del Palazzo del Parco di Bordighera. Ci si chiede se gli autori di comics non meritino un trattamento simile a quello che, dal 1947, godono ogni anno i cartoonist partecipando al Salone dell’Umorismo. Mostre, incontri, qualche dibattito e poi anche convegni tematici offrono loro un’occasione per verificare lo status di un settore particolare dell’editoria, da quella libraria a quella della stampa quotidiana e periodica.

E’ Romano Calisi a sostenere con il calore e l’entusiasmo che lo distinguono la quasi obbligatoria nascita di un avvenimento analogo, necessario per mettere a confronto quanti, in diverso modo, sono interessati al fenomeno dei comics.

Calisi era, all’epoca, allievo e collaboratore di Luigi Volpicelli, Direttore dell’Istituto di Pedagogia dell’Università di Roma, ovvero uno tra i non molti accademici e studiosi di “mass media” (come si diceva una volta…) a nutrire un sincero – e sereno – interesse per il fumetto. Scrive Bertieri:

Volpicelli garantisce il suo appoggio a Calisi e, insieme, non trascura, da vice-presidente del Comitato organizzatore, che il nascente Salone Internazionale dei Comics goda di un autorevole Comitato scientifico da lui stesso presieduto. Convinto sostenitore dell’interdisciplinarità e di un dialogo che deve radunare più conoscenze, una volta nominato direttore del Salone Calisi conferma le proprie convinzioni radunando un Comitato promotore (italo-francese-spagnolo-svizzero) formato proprio da figure di difforme formazione e interessi. Per ricordarne alcune: un sociologo (Pierre Strinati), un fotografo (Lanfranco Colombo), un medico (Pino Donizetti), un artista (Jacques Lob), un semiologo (Umberto Eco), un cultore della paraletteratura (Francis Lacassin).

Essendo egli stesso un attento studioso delle connessioni antropologiche ed etnografiche di sequenze e fotogrammi, chiama a sé una nutrita pattuglia di esponenti del mondo del cinema, da Alain Resnais a Luis Gasca, da Luigi Di Gianni a chi firma queste righe.

Calisi, insomma, è quella che si potrebbe dire la vera ‘anima’ del primo Salone. Un figura-ponte tra mondi differenti – l’università, il giornalismo, il cinema, il collezionismo fumettistico e gli sparuti ‘fumettologi’ dell’epoca – che insieme, grazie alla sua spinta, produrranno quella straordinaria invenzione che fu il primo evento cultural-celebrativo (secondo un modello ibrido tra fiera e festival culturale) regolarmente dedicato al fumetto: il Salone Internazionale dei Comics, da allora identificato come il “Salone di Lucca”.

Lasciata Bordighera, lo sviluppo del Salone nei fervidi “anni lucchesi” sarà presto guidato non più da Calisi, ma da un nuovo direttore da lui stesso indicato: Rinaldo Traini. E visto il ruolo di quest’ultimo, non menzionato in quella scheda su Calisi, Raffaelli ha pensato bene di interrogare lo stesso Traini:

Dunque: le notizie biografiche su Romano Calisi (con l’aiuto della figlia Giulia con la quale sono in contatto) le ho fornite io personalmente a Gianni Bono, anche perchè sono convinto che il principale merito di aver organizzato con il supporto dell’Università di Roma il Primo Salone a Bordighera sia stato tutto di Romano. Altro merito è stato quello di avere avuto fiducia in me quando mi fece nominare direttore. Solo lui e Rino Albertarelli pensavano che io potevo essere l’uomo giusto per dare continuità al progetto iniziale. Nemmeno io lo pensavo. Credo quindi che il merito di aver inaugurato il Salone ed aver assicurato la sua continuità (in fin dei conti ero un suo uomo) è stato tutto suo.

Anche Traini (inciso: inseriremo il suo nome nella scheda, come erede designato, nella ristampa del volume – visto che sì, prevediamo sarà ristampato), quindi, conferma il ruolo di “primo motore” giocato da Calisi all’epoca, oltre che il suo intervento nel nominare il successore. E proprio sull’apporto del professore romano alla nascita della prima edizione del Salone, la puntata seguente di Nuvolette porta nuovi elementi – e ricordi – alla luce, ancora una volta grazie a Bertieri. Proseguiamo tra una settimana.

(continua…)

Stupefacenti per scrittori

Un’altra, splendida fumetto-lista firmata Grant Snider:

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