Il solito problema: recensire fumetti (mytici)

Qualche giorno fa ha debuttato, in allegato al Corriere, una delle novità fumettistiche più attese degli ultimi mesi: Mytico!

L’attesa era naturalmente per la novità del contesto produttivo: che il primo quotidiano italiano, editore (c’era una volta…) del settimanale più importante nella storia fumettistica nazionale, si decidesse fare il passo dal puro licensing alla produzione, è già in sé una notizia. Una di quelle che, prima ancora di entrare nel merito del prodotto, meritano certamente attenzione.

Registro che la prima reazione da parte di chi abitualmente segue e commenta questo genere di prodotti (la “stampa specializzata”, diciamo) non è stata troppo positiva: mixed feelings, direi. A voi la misurazione in Rotten Tomatoes:

  • Un “buon fumetto popolare senza pretese” (Mangaforever)
  • una “scommessa vinta” con qualche distinguo sulla lingua (Comicus)
  • un “buon punto di partenza” (House of mystery)
  • un’inappellabile e stroncante “fallisce il suo obiettivo fin dall’ideazione” (Conversazionisulfumetto)
  • e un “senza dubbio coraggiosa – malgrado i miei dubbi” (Mangaforever).

Nel complesso, per quanto può valere un’approssimazione del genere – e ad oggi – sembra di vedere una canonica ‘sufficienza risicata’ (nei voti di Mangaforever: 6 e 6,5).

E comunque, vorrei parlare d’altro. O meglio vorrei per un momento lasciare da parte il giudizio di merito sul prodotto (pessimo? so-and-so? buono?). E occuparmi delle reazioni stesse. Perché quel che mi ha più sorpreso nel ‘caso’ Mytico, finora, è stata la scarsa qualità non tanto del prodotto, ma delle sue recensioni.

La più banale delle premesse: non ne faccio una questione né personale (gli estensori delle recensioni) né di testata. Ma il contenuto di molte fra quelle recensioni mi è parso così sorprendentemente privo di argomenti, da renderlo un caso su cui spendere qualche parola. Perché Mytico! sembra essere stato, almeno finora, un catalizzatore – ‘epico’? – della sciatteria dilagante nella critica fumettistica (online) italiana.

Per privo di argomenti mi riferisco ad alcuni passaggi, per esempio, di questa recensione:

ha una forte carica sperimentale che lo rende interessante, tuttavia il risultato finale non appaga completamente il lettore.

“Carica sperimentale”. Da lettore, di fronte a questa affermazione, drizzo le antenne, e mi dispongo ad ascoltare. Per capire. Perché sapere che Mytico – non l’ho ancora letto: dovrei? – abbia una forte carica sperimentale può darmi una ragione per acquistarlo o, semplicemente, può essere la premessa a un discorso da seguire, un ragionamento con cui confrontare le mie aspettative, le mie idee. Mi dispongo ad ascoltare, eppure – eppure il testo non mi segue. Non mi vuole aiutare. Quali informazioni, quali frasi, quali parole dedica la recensione per indicarmi – farmi ‘capire’ – che siamo di fronte a un caso sperimentale? Nessuna. L'”idea di sovrapporre mitologia e comics”, frase seguente della recensione, che mette così sul piatto un altro tema degno di ascolto, “è una scelta che rende il prodotto appetibile per un pubblico giovanile”. Certamente: questi ‘eroi mitologici’ sono rivolti a bambini/ragazzi. Bene, è un fatto. Non del tutto nuovo, a voler dire bene, ma un fatto. La domanda iniziale, nel frattempo, rimane aperta: la “sperimentazione”, invece, in cosa consisterebbe? Forse lo sapremo un’altra volta. O da altri testi. Forse. Chissà.

dinamica sceneggiatura di Ascari che, da un lato, ha il merito di non annoiare

Posto che siamo di fronte a un fumetto d’azione (è il suo contenuto principe), parlare di sceneggiatura è passare dai contenuti alla tecnica/stile di scrittura. Per chi legge una recensione su una testata specializzata, un ottimo tema, in grado di soddisfare le aspettative di chi dalla ‘specializzazione’ si attende come è ovvio una discussione più ‘tecnica’, approfondita, con dettagli o ‘retroscena’ inappropriati sulla stampa generalista – per ‘specialisti’ che vogliono, appunto “qualcosa di più”. E qui, posto che sia legittimo distinguere fra stili statici e stili dinamici, piacerebbe sapere a cosa si riferisce questo giudizio sul ‘dinamismo’: ritmo? cambi di scena? inquadrature? La domanda rimane aperta: in cosa consiste una sceneggiatura “dinamica”? Forse lo sapremo un’altra volta.

Buona la prova grafica di Riccadonna che dimostra, tra l’altro, una certa originalità nella composizione delle pagine.

Innanzitutto un mistero: quel “tra l’altro”. Se oltre al layout c’è dell’altro, di cosa si tratta? E perché lasciarlo nel non detto? Il punto cruciale della valutazione sulla componente visiva, poi, è un’altra non-argomentazione: “composizione originale”. Perché da lettore mi aspetterei che le parole seguenti fossero destinate a questo, ovvero a fare capire anche a me le ragioni per cui qualcuno (il recensore, o io) potrebbe parlare di ‘originalità’. Ma anche qui il testo si ferma, non offre alcun elemento, e a chi legge non è dato capire se si tratti di un’originalità generale e assoluta (su cui parrebbe ovvio dubitare, col risultato di squalificare la recensione: enfasi fuori dalla realtà), o piuttosto di un’originalità rispetto a qualche termine di paragone. Peraltro inespresso. Altra domanda senza risposta: in cosa consiste questa “originalità compositiva”?

In un’altra recensione, un brano recita:

è evidente che l’autore intende essere il più popolare possibile (e non è un male) ma i testi mi paiono troppo semplici e la trama esile e avrei preferito maggiore profondità ma dopotutto questa iniziativa è rivolta ad un pubblico pre-adolescenziale.

Questa “evidente volontà di essere popolare” è un argomento che, di evidente, ha la tautologia. Come Tex Diabolik Topolino, questo è un fumetto popolare. Non è un’opera di avanguardia, o di ricerca. Lo sappiamo: è il Corriere. Dunque cosa vorrebbe dirci quell’ “essere più popolari possibili”? ‘Più possibile’ di cosa? E l’argomentazione si risolve in un avvitamento logico: essendo il target preadolescenziale… un autore non può che essere ‘troppo semplice’ e produrre ‘trama esile’; essendo il target preadolescenziale … un autore può voler essere più popolare (che è un bene), ma alla fine mica basta. Tradotto – con fatica – potrebbe suonare così: un fumetto popolare per ragazzini, “dopotutto”, non permette quel che qui si contesta. Una sciocchezza risibile, naturalmente, ma che si fonda su un’equazione tanto stereotipata quanto preoccupante, se praticata da chi “scrive di fumetto”: volenti o nolenti, fumetto popolare per bimbi = scarsa qualità. Un “dopotutto” che posso aspettarmi da sir Harold Bloom o da un professore di greco del liceo, ma che qui – la stampa specializzata, ovvero il bacino potenziale del migliore know-how – fa francamente impressione.

Il disegnatore fa un buon lavoro, riuscendo a caratterizzare visivamente ogni personaggio

Un disegnatore che riesce a caratterizzare visivamente i personaggi. Chi l’avrebbe mai detto. Una rarità, considerato quanti disegnatori non lo facciano, usando abitualmente stampini per riprodurre le medesime fattezze in più vignette possibile. O forse si voleva alludere ad altro: tutti i disegnatori sanno caratterizzare personaggi, ma questi sono stati particolarmente bravi. Queste caratterizzazioni hanno elementi di particolare valore, voleva dire: sono particolarmente ‘riuscite’. E questo potrebbe anche essere. E da lettore, mi dispongo ad ascoltare. Senza ottenere risposta, tuttavia: costoro sì che sanno caratterizzare… ma non si fa (sa) dire il perché. Altra domanda senza risposta: quali sarebbero gli aspetti di particolare cura o efficacia?

Insomma, mi fermo qui.

Peraltro scusandomi, per la pedanteria inevitabile di una simile discussione. Rimane però la sensazione, sconfortante, che queste recensioni dicano poco, o niente, del fumetto in questione. E che questo caso meriti almeno un poco di indignazione, come il mio post cerca di rappresentare. In modo un po’ piagnino, lo ammetto: mi perdonerete, ma così accade quando lo sconforto scocca intorno a casi che coinvolgono professionisti che stimo, e su tutti i fronti (il prodotto; le testate di queste recensioni; e la schiera di chi, giornalisti autori editori, va lamentandosi – chi in pubblico chi in privato – dell’uno come delle altre).

Vorrei allora ribadire una banalità.

Non c’è un modo di scrivere rencensioni, anzi. Anche in 500 battute. Ma ciò a cui servono è offrire informazioni (per presentare l’opera) e argomenti (per capirla/spiegarla/commentarla) – e qui ci sono informazioni, ma non argomenti.

Gli stessi autori e editori di fumetto popolare, sono tra le vittime di questa sciatteria. Perché se è vero che il “purché se ne parli” è un principio importante, la pochezza degli argomenti è una magra consolazione. Se una misura del riconoscimento e della crescita professionale, da sempre e in ogni campo, sono i discorsi che ne fanno i pubblici – indifferenziati (i lettori) o qualificati (la critica e i ‘pari’) – gli autori più motivati e consapevoli sono i primi a sentirsi sviliti dalla pochezza degli argomenti portati a loro favore (ma anche a disfavore): capire cosa si è fatto dalle opinioni altrui è normale, utile, proficuo. Ma se quel che si riceve è poco o nulla, coperto da una coltre di banalità e interesse fermo alla superficie (o, peggio, venato di adulazione), sono autori ed editori stessi a uscirne demotivati. Depauperati del valore – percepito o reale che sia – del proprio contributo.

A meno che… queste non siano altro. Non recensioni. E forse è proprio così: non sono recensioni, perché i loro testi promettono ma non mantengono l’obiettivo di discutere nel merito il prodotto. Sono altro. Segnalazioni, ‘brevisioni’ come le etichetta con accortezza uno di questi siti. Ma allora la domanda è duplice: 1) perché ostinarsi a chiamarle recensioni? e 2) cosa aggiungono, queste forme giornalistiche, ai lanci stampa?

Una sommaria risposta alla domanda 1) è che, nella prassi di chi progetta questi testi, c’è una “retorica della recensione” senza la recensione medesima. Una sorta di apirazione alla recensione. Ma senza il metodo, il mestiere, le “regolette”. E’ quello che in modo un po’ pomposo potremmo chiamare il “lato oscuro del fandom”. Ovvero quei casi in cui, per svolgere la propria (sana, e preziosa) missione di evangelizzazione culturale, invece di sfruttare la libertà di un contesto de-strutturato, lontano dai bisogni della produzione di comunicazione sottoposta alle regole del commercio (si pensi alla straordinaria energia dei collezionisti e dei loro database, dei loro raduni, di certa fanfiction, di tanto cosplay…), il fandom si confina nelle forme più ‘scolastiche’ del giornalismo e della critica, senza però darsi regole e buone prassi da usare come modello. Col risultato di praticare una critica che è più formulaica che sostanziale, più nelle intenzioni che nei risultati.

Una risposta alla 2) è che l’efficacia di questi testi ha a che vedere con la tendenza alla promozione del consumo tipica del giornalismo fandom-oriented (ne parlai tempo fa, qui). Ma in realtà con una visione parziale di questa stessa promozione: un fan-giornalismo acritico che abdica alla propria funzione, ovvero – rispetto alle proprie aspirazioni: promuovere il ‘buon’ fumetto popolare e non – rinuncia a un’interazione con prodotti/produttori fatta di richieste e pretese, stimolo e suggerimento, confronto e sane litigate. Portando argomenti, dettagli, temi, idee, ambizioni trasformative più o meno sensate. Come qualcuno ancora fa, per fortuna: penso all’eccellente blog Docmanhattan, forse il più compiuto esempio di fan-journalism di qualità nel 2011; o al sito verticale dei fans di Dylan Dog, DDComics. Una visione che invece fatica a trovare rappresentanza nei pur tanti webmagazine generalisti ‘dal basso’ che si limitano a piccole segnalazioni, comunicati e notiziole, recensioni stringate quasi solo descrittive e, non a caso, quasi sempre morbide come una carezza (nei rari casi in cui invece ‘mordono’, peraltro, rischiando di diventare vittime di una sciatteria opposta e contraria: le reazioni piccate o persino minacciose di alcuni editori/autori). Una critica amatoriale – come si diceva negli anni 70/80 – o un fan-journalism che, rispetto a campi come tv e videogiochi, insomma, pare vivere una fase di profondo sfarinamento, se non una vera e propria crisi motivazionale e aspirazionale.

E allora quel che dispiace è anche che ciò avvenga, in questa occasione, in un campo – la stampa specializzata italiana – che dopo decenni (esagero: dai ’60 ai ’90) spesso all’avanguardia in termini di qualità argomentativa e critica (da Linus a Sgt. Kirk a ilFumetto a Fumo di China a L’Urlo a Schizzo), pare vivere una fase poco felice. In cui la rete ha portato nuove opportunità (quantità, libertà di temi, formule e registri) ma anche nuove schiavitù (quantità, rapidità, sciatteria).

Non solo: dispiace tanto più quanto il caso di Mytico!, prodotto popolare che potrebbe avere ragionevolmente già superato le 50.000 copie, avrebbe meritato da chi presiede il territorio dell’informazione sul fumetto con impegno costante, quotidiano, energie critiche quantomeno proporzionate all’occasione. In un’Italia che, pur ricca oggi di spazi online dedicati alla discussione sul fumetto indipendente, d’autore, di nicchia, sorprende per la sempre cronica assenza di discussioni altrettanto attente sul fronte del fumetto popolare, Bonelli, Disney – o Mytico! – in primis. A favore o contro che sia.

Il dibattito sulla salute della critica sul fumetto – anche popolare – in Italia, che periodicamente torna a scatenare confronti, piccoli buriana, difese d’ufficio e una discreta produzione di alibi, è uno di quei (relativi) bisogni che casi come questo ci ricordano: c’è ancora bisogno di lavorare un sacco, per elevare la qualità dei discorsi sul fumetto dalla superficialità. Inclusa quella di certe sue recensioni.

68 Risposte

  1. Pedante, come tu stesso ammetti, ma sicuramente fondato.
    Il problema rimane quello di sempre, però: non si può pretendere professionalità dai non professionisti, e se non sei pagato (come il 99% dei recensori di fumetti) non sei un professionista.

  2. skull: c’è una schiera infinita di fumettisti che prende 1000 euro (quando va bene) a libro (che richiede un anno di intenso lavoro), e secondo il tuo ragionamento questi autori non sono dei professionisti.
    ma non è così. è ovvio. abbiamo letto libri bellissimi e premiatissimi che all’editore sono costati pure di meno.
    non è certo il denaro che legittima questa “crisi motivazionale e aspirazionale” dei recensori di cui ci parla matteo. che per inciso non credo sia stato pagatro da nessuno per scrivere questo bel pezzo di critica alla critica.

    sforziamoci di trovare scuse migliori.

  3. Marchesselli, Lupoi, Brolli, Masiero, Guardigli, Castelli, Plazzi, i Kappa Boys e molti altri. Tutta gente che lo faceva per passione, sulle fanzine, e che è diventata professionista.

  4. Pure Stefanelli stesso o Luca Raffaelli. Ma pure Boschi.

  5. @Skull: non è una buona scusa. E te lo dico da autore di una delle recensioni linkate da Stefanelli…

  6. Non sarà una buona scusa, Ausonia e Luigi, ma è la realtà: per scrivere bene, ai livelli citati da Stefanelli, bisogna studiare e anche parecchio; se lo fai per passione e non per lavoro semplicemente non ne hai il tempo.

    Ausonia, peraltro, a mio avviso sbaglia anche esempio: il paragone più azzeccato non è con gli autori che pubblicano a 1000 euro al libro, ma con quelli che sono ancora alla fase precedente e girano per le fiere con le cartellette piene di disegni ancora acerbi.

    • mi sa che non hai capito. non paragonavo certo la bravissima mp5 agli autori delle brevisioni.
      dico che in italia molti fumettisti non vengono pagati per il loro lavoro e non per questo ci mettono meno impegno o passione o tempo o studio o talento o amore o.
      se è vera la scusa dei soldi… in italia non avremmo avuto né gipi né altri grandi autori.
      ripeto, matteo non viene pagato da nessuno per tenere in piedi questo blog (e lo fa molto bene).
      diciamo pure che matteo ha delle capacità che altri non hanno e facciamo prima.

      • vabbè Aus, io non metterei sullo stesso piano nemmeno quello che spinge un artista e quello che spinge un critico; le necessità comunicative di un recensore e di un autore secondo me sono mondi diversi.

        • certo che sono diversi, ma se ti butti in una brevisione di passione ne hai zero. sono solo dei consigli per gli acquisti. e anche qui… ci vorrebbe un minimo di autorevolezza per autorizzarsi a consigliare qualcosa a qualcuno. perché altrimenti che me ne faccio del parere di un emerito sconosciuto? non vale nulla. restiamo solo nell’immenso e sconfinato campo dei pareri personali. il mortifero: mi piace/non mi piace. e chissenefrega se a questo emerito sconosciuto piace mytico!, tanto ci sarà sempre un altro emerito sconosciuto a cui non è piaciuto.
          se luca boschi mi consiglia una storia disney mi convince quasi subito. perché non è solo un’opinione, la sua. dietro c’è una ricerca (seria) che va avanti da decenni. e questo fa la differenza tra un contenuto critico e una chiacchiera da bar. tra essere autorevoli e avere un computer collegato a internet (che tradotto, significa non avere un cazzo).

      • come non concordare su tutto quanto scritto sopra…

  7. Ottimo articolo, Matteo. Cogli dei punti fondamentali. Forse tutti i punti fondamentali del discorso sulla critica odierna sul fumetto. Ma aggiungerei, sulla critica che viaggia soprattutto internet. Credo che il livello di ciò che viene pubblicato a stampa sia ancor oggi, nel campo della critica sul fumetto, di qualità superiore.

  8. Ciao,
    non posso seguirti sul discorso “fan journalism” che pure reputo interessante per problemi di tempo.

    Per quel che riguarda la brevisione di LSB. Prima di tutto grazie per la pubblicità. Scherzo.

    Beh, la recensione su Mytico! arriverà non prima del terzo numero. E’ già stata assegnata.

    Vedo che tanto tempo è stato speso per commentare una recensione (da noi battezzata brevisione= breve recensione…) che per forza di cose purtroppo non può articolare quanto accennato.
    Anche negli “essential eleven” gli autori descrivono in poche righe volumi di centinaia di pagine. Anche lì possono dire “bello” o “originale” chiaramente senza poter spiegare…
    Sembra un lancio pubblicitario? Sembra scritto male? Posso accettare la critica ma va anche contestualizzata a cosa stai criticando.

    Ah, poi leggo:
    […] sul fronte del fumetto popolare, Bonelli, Disney – o Mytico! – in primis. A favore o contro che sia. […]

    Mi dicono che non è “fine” segnalarti qui cose che abbiamo pubblicato. So che ci leggi…

    Ma fra un grande approfondimento a Julia (l’hai visto? erae notevole no?) e speciali che arriveranno a brevissimo (10 giorni) su un personaggio Bonelli e su Disney (e ne vedrai delle bellissime) e centinaia di articoli di pancia, cuore e approfondimento e decine di interviste pensate e molto articolate… un po’ mi deprime essere citato solo per la brevisione di Mytico! (e per quanto non può spiegare nel suo limitato spazio) e mai “in positivo” per quanto facciamo…
    Anche lì riscontri una così grave carenza nel nostro lavoro? Anche lì siamo “fan” che non articolano?
    Sono domande spero retoriche…
    Le faccio perchè l’impressione che ne esce, da chi non segue Lospaziobianco, è che sia un sito di “strilloni” pubblicitari…

    Un permaloso ma affettuoso caldissimo abbraccio

    • davide, mi sa che abbiamo idee piuttosto vicine. Fammi ribadire due cose.

      1- Ho riconosciuto e evidenziato, nel caso di LSB, la presenza di un’etichettatura ‘brevisioni’, quantomai opportuna per distinguerla da una recensione. E sono certo che altre ne farete. Ma il problema è che questa, in sé, conteneva vuota retorica, senza argomentazioni a favore delle tesi (legittime) che pur sosteneva. Non contesto la brevità: molta stampa si fonda su rece da 400/700/1000 battute. Ma qui mancava non lo spazio, ma gli argomenti.

      2- lo so che il rischio di generalizzare oltremodo c’è, ed è forse inevitabile. Ma so anche che nel mio post ho scritto due premesse e una chiusa che dovrebbero circoscriverla. Peraltro condivido: LSB ha fatto un buon lavoro su Julia e su tante, tante altre cose. Semplicemente: questa rece non lo era. Ed è sempre questione di contesti e proporzioni: un caso come Mytico richiedeva una cura proporzionata. Che non significa 10000 battute, ma anche 500, però ben motivate e scritte.

      La mia proposta, semplicemente, è: fermiamoci un momento a ragionare su quel che si sta facendo. E proviamo a capire se, a fronte di errori, si riesce a fare un passo avanti per evitare di offrire contenuti la cui (scarsa) cura è contraria persino alle intenzioni.


      • di offrire “talvolta” in un contesto comunque molto positivo e approfondito contenuti la cui (scarsa) cura è contraria persino alle intenzioni…

        😀

        me lo concedi?

        • davide, se in ogni frase si deve ribadire quel che è scritto nel paragrafo prima … si diventa come Veltroni e i suoi ‘ma anche’. E questo non so se te lo concedo 😉

  9. skull: pedante, verissimo. Lo ribadisco: perdonatemi. Ma mi pareva più corretta la pedanteria, rispetto a una sintesi che temevo sarebbe suonata tranchant. Ho dovuto spiegarmi, almeno un po’, entrando in dettagli come singoli passaggi: per una volta, il solo modo per evitare ambiguità e sottintesi.
    Sul tema ‘denaro’, che ritorna spesso come prerequisito, la penso come Rrobe, Ausonia e Siviero: è un argomento ‘esterno’. Limitiamoci ai contenuti, qui: la volontà di scrivere non dipende sempre e solo dal denaro. Tanto più per testate fandom-oriented: dall’antica Fumo di China a oggi. Come lo stesso Siviero dimostra (e la cui schiettezza apprezzo molto, tanto più qui, oggi).

    rrobe: gli esempi sono innumerevoli, in Italia come in USA o Francia. Uncountables. Così è stato e sempre sarà, per una fetta di redattori, autori, giornalisti. Ed è una splendida cosa.
    Forse, semplicemente, viviamo al momento una fase di ‘stanca’ nell’emersione di giovani professionisti, o forse la rete, dopo una prima stagione fertile, sta aspettando un ricambio generazionale. Vedremo. Teniamo le dita incrociate: anche nei siti citati ci sono penne interessanti. Speriamo solo si facciano più spazio.

  10. Matteo: non me ne voglia il buon Luigi (che leggo quotidianamente), ma non mi sembra che le sue recensioni differiscano tanto da quelle citate; quella di cui parli, ovvero una critica professionale, è una cosa da professionisti: non si improvvisa.

  11. Parlo dal basso della mia minima esperienza come web-recensore (o non sarei intervenuto): minima perchè ho capito in breve tempo che, appunto, non è una materia che si improvvisa ma che prevede uno studio serio e prolungato anche solo per essere degna del materiale che si recensisce;

    personalmente ho scritto i miei brevi pezzi di getto, cercando più di solleticare l’interesse di un eventuale lettore con riferimenti incrociati che con un’analisi attenta dei contenuti e delle forme; questo sia perchè ho ingenuamente pensato che un lettore da web ha poca voglia di soffermarsi su un pezzo lungo e articolato ma preferisca una brevisione che focalizzi pochi punti fondamentali, sia perchè non ho mai avuto (e non avrò mai il tempo di farmi) quegli strumenti fondamentali che renderebbero interessante ad autorevole una critica fumettistica;

    se a questo aggiungiamo che non sono nemmeno riuscito a combattere il problema del buonismo compulsivo, che per varie ragioni tanto affligge il settore, penso sia comprensibilissima la brevità della mia improvvisata (ma in buona fede) parentesi di recensore: mi sono accorto abbastanza in fretta dei miei limiti e ho lasciato perdere;

    ciononostante non pretendo certo che gli altri recensori adottino le mie remore, nè credo assolutamente che abbiano gli stessi limiti: semplicemente fanno del loro meglio, che è già tantissimo.

  12. skull, a mio avviso è importante distinguere: siviero non ha azzardato valutazioni fuori luogo come ‘forte carica sperimentale’ o prive di argomenti probanti come ‘originalità compositiva’, o surreali tautologie come ‘volontà di essere popolare’.
    Dopodiché, la tua franchezza a me pare banale e preziosa: non tutti possono o sanno fare tutto. E se in un testo su Mytico mancano elementi fondamentali di chiarezza e argomentazioni a sostegno di una valutazione, mi pare normale soprassedere. E non pubblicarla. Che sia lunga 500 o 5000 battute: il punto, ribadisco, non è la quantità, ma quel che ci si mette ‘dentro’.

  13. Comunque, senza andare troppo sui massimi sistemi, io mi permetto di dire una cosa semplice.
    C’è la buona scrittura e quella cattiva.
    In questo caso, siamo davanti a molti esempi di cattiva scrittura.
    Perché basterebbe attenersi alla regola d’oro del “show, don’t tell” per avere recensioni migliori.

  14. Prof, ma invece di spiegare come non si deve fare, ci fai vedere come si fa una recensione di Mytico? Grazie in anticipo.

  15. rrobe: ci sta.

    conte: dovresti saperlo, ma non accetto sfide a braccio di ferro.

  16. grazie per averci linkato. ci arriva un po’ di gente e magari manteniamo il posto in classifica wikio.

  17. sarebbe bello vedere una tale attenzione anche sulle realtà indipendenti…la butto li, tanto….

  18. ok, va bene, ti rispondo qua solo perché mi suggeriscono di farlo.

    non so, matteo, cosa ti dovrei dire.
    concordo col tuo articolo, ma non capisco perchè hai citato il pezzo di tosti che, diciamocelo, non sarà perfetto, sarà “retorica della recensione”, ma si discacca alla grande da tutti gli altri pezzi che hai linkato.
    non lo citi neanche nel corpo del tuo articoli, non dai spiegazioni.

    sembra quasi una clemenza da parte tua. come il maestro che da il 6– (sei meno meno) all’alunno.

    inoltre, non hai citato il secondo articolo di tosti, che ritengo importante nell’ottica del suo discorso.
    sono il primo a dire che quelle “recensioni” sono consigli per gli acquisti, in un caso l’ho anche detto prendendomi pure delle minacce.
    non capisco neanche perché ci affianchi a quegli altri siti che sono tutto l’opposto di quello che vogliamo fare e facciamo noi.

    alla fine, sinceramente, mi interessa tutto molto poco (per non usare termini da taverna, che avrei preferito usare).

    • l’ho citato nella linkreview iniziale, perché ho trovato alcune tesi di Tosti non argomentate (scrittura “frettolosa e un po’ confusa”: cioè? “mito reinterpretato e semplificato”: e in che misura ciò è in sé buona o cattiva cosa?), tanto più visto l’ampio spazio.
      Ma a differenza delle altre non ho trovato passaggi di sorprendente sciatteria, e per questo le riflessioni sviluppate dopo le citazioni non riguardano il pezzo di Tosti (o quello di Siviero) nella stessa misura. Come mi pare evidente.
      Andrea: cos’è questa battuta piccata su wikio? Ti pare il caso?

    • “sono il primo a dire che quelle “recensioni” sono consigli per gli acquisti, in un caso l’ho anche detto prendendomi pure delle minacce.”

      nomi, cognomi grazie…

      un caldissimo abbraccio da “uno di quelgi altri siti”

  19. @Conversazioni
    Scusami, potresti spiegarmi meglio che cosa intendi quando dici: “…altri siti che sono tutto l’opposto di quello che vogliamo fare e facciamo noi.”

  20. niente battute piccate. è che mi sembrava che dovevo dire qualcosa e siccome fondamentalmente non volevo dire niente, ho fatto una battuta. poi mi han detto che dovevo dire qualcosa e allora, controvoglia l’ho detta.
    la prossima volta ignoro e non dico nulla.

    • peraltro: non avevo visto il secondo intervento di Tosti. Che al di là della (legittima) difesa, dice diverse cose di buon senso, peraltro condivise (il mio stesso punto sulla promozione del consumo).

  21. @Skull: l’unica distinzione possibile è fra pubblicare e non pubblicare. L’esordiente che mostra le sue tavole ai supervisori non è uno che pubblica. E’ uno che vuole sapere se vale la pena che della gente legga le sue cose.
    Chi mette un articolo in rete ha già superato quel gradino e vuole essere letto, possibilmente dal maggior numero possibile di persone. Non importa se è in gamba, incosciente, megalomane o mal consigliato.
    Io pubblico (con grosse distinzioni da post a post) perché voglio essere letto; perché voglio che i miei articoli vengano citati; perché voglio che la gente rifletta su quello che scrivo.
    Voglio tempo e attenzione (quanti dipende da post a post, ovvio). Se non li merito perché i miei articoli sono scadenti, allora quello che faccio è un fiasco a prescindere dai soldi che guadagno o non guadagno.
    Nel momento in cui è pubblicato, un articolo DEVE essere professionale. Deve esserlo a prescindere dal tempo a disposizione e dai soldi. Un articolo scritto male o poco argomentato merita di essere trattato per quello che è, robaccia.
    Soldi e tempo contano nel momento in cui si decide se scrivere o non scrivere, non dopo che si è deciso di scrivere.

    • E’ un argomento più che sensato, ma sicuramente ti renderai conto che se fosse applicato non scriverebbe più nessuno: sul web come altrove.

  22. Comunque…
    Pensavo che soltanto noi autori fossimo “autorizzati” a litigare tra di noi sul web!
    Qui scopro che lo fanno anche i critici, e lo trovo molto più divertente!

  23. Matteo posso dire una cosa cattiva su tutta questa storia?
    Fin dalle prime ore le critiche all’operazione mi son sembrate eccessive e immotivate.
    Poi ho letto le reazioni alle critiche e mi sono sembrate (vuoi non vuoi) eccessive e immotivate.
    Poi sono arrivate le repliche alle critiche delle critiche e mi sono sembrate ancora eccessive e immotivate.
    Ora sto leggendo le riflessioni sulle critiche, sulle contro critiche, sul fare critica e sul fare autocritica. E anche quando mi sembrano ben ragionate e motivate come le tue continuo a trovarle eccessive.
    Dal mio alto pulpito di anonimo parlante mi viene da chiedermi, da chiederti, da chiedervi: ma non ci si starà prendendo troppo sul serio?

    • marco, sei una delle persone più ragionevoli che abbia incontrato online da quando questo blog è partito. Dunque rispetto davvero molto quel che pensi, e sono felice di sentirti dire quel che ti pare. Ma non sono d’accordo.
      Mytico è un nano sulle spalle di un gigante: il Corriere dei piccoli. La magnitudo, anche solo simbolica, di questo ritorno alla produzione – per quanto in service – da parte del Corriere, merita pienamente un momento di serietà, di pedanteria, di dissezionamenti. Anzi: mi pare che siano ancora pochi (che è peraltro il motivo che mi ha convinto a scrivere questo post).

      • Forse (anzi sicuro) non mi sono capito. L’iniziativa è seria e la sua qualità industriale è (guarda che arrivo a dirti) indiscutibile. Ciò che si può discutere è la struttura, il respiro, la “bontà” come si diceva un tempo, del prodotto narrativo. Ma non certo dopo un numero. Stiamo parlando di una produzione seriale e un’analisi razionale e documentata non può prescindere da questo dato.
        Ma a me sembra che il dibattito non abbia seguito una logica di approfondimento finora. Mi sembra che i presupposti e, in fin dei conti, gli obiettivi della proliferazione di articoli, post, twuitterate siano altri. Gli approfondimenti, ben vengano, hai ragione.

  24. Ah, le recensioni meditate e argomentate…
    Ricordo una recensione del “Faust” di Quinn-Vigil, scritta da Spiritelli, apparsa credo nel 1989 su Fumo di China.
    Erano due sole parole: “Merda pura”.
    Un pelo apodittica, ecco.
    Ma con due grandi pregi, che me la fanno ricordare a distanza di oltre vent’anni: la brevità, che più brevi di così è proprio difficile, e poi l’aderenza linguistica all’argomento, che anche secondo me “Faust” faceva schifo oltre l’indicibile, e andava dichiarato a lettere di fuoco, senza sporcarsi oltre nella disamina del coliforme fecale. Citando il poeta: non occorre mangiarla, per sapere che la merda fa schifo (ma forse il poeta diceva più semplicemente che non occorre girare tutto il mondo per sapere che il cielo è azzurro).

    Però… però quella ovviamente (?) non era una recensione, ma la messa su carta di una idiosincrasia totale per una certa idea di fumetto.

    Uhm, non ricordo più cosa volevo dire…
    Ah, sì: il primo numero di Mytico mi è sembrato una cacchetta davvero loffia, sterile, che manco è buona per concimare. Uno sforzo produttivo che immagino imponente per una roba senza nerbo narrativo, che mi è parsa indecisa tra la spettacolarizzazione supereroistica e la divulgazione storica, finendo per essere debole in ambedue; a ciò si aggiungono dei disegni anche ben fatti, ma terribilmente freddi, cui non giovano dei colori orrendi (ma sono daltonico, magari sono fantastici; io comunque sostengo da anni che solo nel bianco e nero si vede se un disegnatore ha stoffa), e soprattutto una recitazione dei personaggi che passa dal catatonico all’ipereccitato senza vie di mezzo. Mah… Magari con Cajelli migliora.

    Però va detto che a me la mitologia fa davvero schifo. Peggio ci sono solo l’opera, i musical e i film in costume settecentesco. Per la serie: ognuno ha le sue idiosincrasie.

    A questo punto qualcuno chiederà: ma che l’hai comprato a fare, se già sapevi che t’avrebbe fatto schifo? Eh, gli insondabili misteri della mente umana. Ne parlerà prossimamente anche Giacobbo, ma posso già dirvi che è tutta colpa dei templari, che mi fanno la posta sotto casa per portarmi in edicola a comprare le cagate.

    • tonon: abbiamo le stesse 3 idiosincrasie. E se usassi facebook pigerei ‘like’ ai tuoi commenti.
      Peraltro: dici davvero sul bvzspiritelli o vuoi fregarci con un fake ben congegnato? Comunque sia: chapeau. Sciatteria vintage is the new black.

      • Sul bvz Spiri dico sul serio.
        Nel senso che credo davvero di davvero di ricordare quel che ho scritto.

        Poi, si sa, la memoria è labile e le zone erronee del cervello sono molte…
        Per cui magari quel “merda pura” l’ha scritto qualcun altro. Però io ricordo Spiri.

        P.S. Facebook? Non mi avrà mai, quanto è vero Dio (nel senso di Ronnie James, che indubitabilmente esiste).

  25. salve. posso dire una cosa che c’entra poco con tutto ciò che c’è sopra? (poi in verità c’entra col corriere e col corrierino…).
    io a 8 anni iniziavo a leggere il Corriere dei Piccoli, e ci leggevo i segni, diversissimi, di Toppi e Breccia, di Uggeri e Di Gennaro, ci leggevo le storie di Pratt, ci leggevo Castelli e Maggioni, e Franquin, e smetto qui perchè se no ci vogliono pagine.. Siete sicuri che, pur passati quarant’anni da allora, per fare un prodotto “per ragazzi” bisogna fare un prodotto “semplice”? Mi viene da dire “evidente”?
    Mytico non l’ho letto per ora perchè mi ha infastidito la pubblicità e le cover. (c’è scritto da qualche parte che è “per ragazzi”?). Ma posso dire che le cover sono davvero brutte? A me piacerebbe sapere se il progetto di questa operazione è tanto quanto di matrice Corriere, tanto quanto di matrice “service”. Però ho scelto centinaia di film o libri, anche sbagliando, spinto da una grafica di copertina, immagino che il produttore ci tenesse che io non mi ci approcciassi, ma mi sembra ben lontana anche da ciò che vedo in film musica o videogiochi dedicati ai ragazzi…: boh.
    E tralascio che si scriva sempre di “popolare” come di “più o meno eccessivamente semplice” perchè se no..

    • (dettaglio: cover brutte? Ma come, non sono di quel Martinello che lanciasti tu stesso su Schizzo anni fa?)

      Memoria a parte: per me questo è un serio tema non solo di autori, ma di marketing. E ci vedo un rischio: “ideologia della targetizzazione”. Anche Nickelodeon (parliamo di tv, va là) sa qual è il suo target di bimbi, ma i prodotti si sviluppano con un dialogo con la parte creativa in cui ciascuno fa la sua parte. Qui le condizioni organizzative e di cultura del prodotto sono diverse, e parte forse dei limiti di questa operazione.

      Infine: “popolare” e “semplice” vogliono dire tutto e niente, dipende. Qualcuno lo capisce, qualcuno no. That’s all, folks (e bonanotte).

      • I settimanali per ragazzi degli anni 70 erano fantastici.
        Storie narrate in modo semplice, ma non semplicistico o peggio ancora, banale. Narrativa popolare, nel senso del nazional-popolare. Grandi sceneggiatori, grandi disegnatori. Roba che veniva letta da grandi e piccini e che dopo 40 anni non ha perso niente della potenza narrativa di allora (cito tre serie a caso: Altai & Johnson, Petra Cherie, Il commissario Spada). Il Mago (dico: Il Mago, cioè probabilmente una delle riviste più scarse del tempo) si permetteva addirittura di pubblicare gli esordi del grandissimo Scòzzari e le prime avventure di Sam Pezzo.

        Non facciamo paragoni con le attuali pubblicazioni per ragazzi, che il paragone sarebbe oltremodo ingeneroso.

        Però mi chiedo: non ci sono più quei fumetti perché non ci sono più quelle riviste, o non ci sono più quelle riviste perché non ci sono più quei fumetti?

  26. (sul Mago scarso litighiamo un’altra volta)

    quando CdP e Giornalino e Avventuroso e Pioniere erano i settimanali per ragazzi modellati sui quotidiani d’area degli adulti, i grandi avevano in tv gli sceneggiati di Maigret o le scenografie di falqui a studio uno. “per ragazzi” o “popolari” è il concetto di omogeneizzato che viene prima delle produzioni a dominare.
    A me quello che dà fastidio di certe recensioni “popolari”, anche alcune tra quelle citate da te, è che si parta dall’idea che essendo in quegli ambiti non si possa che volare basso. Ribah.

    Le riviste non ci sono perchè non c’è chi le fa, chi le sa fare, chi accetta di produrle con mezzi, chi le impone all’attenzione del pubblico e le sa vendere come attrazione-evento. Di fumetti ce n’è più di allora..

    Certo, la condizione organizzativa segue la considerazione culturale..

    Io Martinello sui miei non lo ricordo ma anche fosse…, rimangono brutte 🙂

    • Beh, ho scritto che il Mago era scarso solo per paradosso: se era scarsa quella, figuriamoci le altre (mettendole assieme alla rinfusa: Linus, Alter, Corriere dei ragazzi, Giornalino, rispetto alle quali secondo me era un pelo inferiore).

  27. La mia recensione non ha il problema di essere priva di argomenti.
    Ho detto da dove proviene la storia raccontata nel fumetto e ho spiegato perché è diversa dall’originale (Cicno annega).
    Ho scritto che l’obiettivo degli autori è innestare l’estetica dei supereroi contemporanei sulla mitologia greca e ho spiegato come è stato fatto questo innesto (tipo di colorazione, costruzione della tavola, stile del disegnatore).
    Ho evidenziato che lo sceneggiatore ha scartato i combattimenti di massa a favore dei duelli degli eroi. Ho spiegato perché è stata scelta questa impostazione e ho messo in relazione la decisione di privilegiare il punto di vista degli eroi con le didascalie in soggettiva.
    Ho evidenziato quello che è un elemento di originalità del fumetto.
    Infine ho detto che c’è un tema che meriterebbe di essere sviluppato a dovere nei numeri successivi.

    Non so se è una buona recensione. Ho scritto che Mytico è “un buon punto di partenza” ma potrei avere preso una cantonata. Non sta a me deciderlo…
    Una cosa è certa: finora nessuno è riuscito a spiegare perché Mytico è brutto.
    Cioè, lo so anch’io che Riccadonna non è il nuovo Hugo Pratt / Ivo Milazzo / Andrea Pazienza. E’ un onesto disegnatore che è riuscito a mandare la serie nella direzione che era stata stabilita.
    Mi sembra un giovane disegnatore (Mytico è solo il suo terzo fumetto) a cui è stato detto “Hai un’occasione per farti le ossa”.
    Soprattutto nel primo numero ci voleva molto di più. Un Alessandro Barbucci o uno meno noto ma scafato a cui dire “Hai un talento della madonna, è la tua occasione per sfondare”.
    Il fatto che Riccadonna non sia il nuovo Andrea Pazienza non autorizza a dire che Mytico è un capolavoro immortale ma neanche che è una robaccia inguardabile.

  28. grazie per la notizia, sicuramente interessante. Vedo di reperirlo e farmi un’idea.

  29. Oggi la metto giù brutale parlando da semplice lettore e non da ex “web-recensore”: io non ho molto tempo da dedicare al reperimento delle informazioni e delle impressioni indispensabili a spingermi verso l’acquisto di materiale che non conosco, e quindi preferisco in generale recensioni brevi e incisive, possibilmente scritte da persone di cui ho apprezzato il gusto e la bravura in passato (la funzione “aggiungi ai preferiti” per il tale blog o il tale sito serve proprio a quello); se devo scegliere tra l’impressione di un tizio che in genere legge le stesse cose che leggo io e una pagina fitta di citazioni dotte e di addentellati multidisciplinari propendo decisamente la prima.

    E non credo proprio di essere l’unico.

    Non so se questo può rispondere in parte ai quesiti posti da Matteo, ma è sicuramente una parte a mio avviso non trascurabile del problema “critica fumettistica in Italia, specie sul web”.

  30. “se devo scegliere tra l’impressione di un tizio che in genere legge le stesse cose che leggo io e una pagina fitta di citazioni dotte e di addentellati multidisciplinari propendo decisamente la prima.

    E non credo proprio di essere l’unico.”

    Quindi meglio il parere, magari superficiale e frettoloso, di uno che magari ha i tuoi stessi gusti di quello argomentato ma più “noioso” da leggere di uno sconosciuto che magari sa di quello che parla?

    Mah…contento tu.

    Io posso solo dire che a seguire troppo le indicazioni di chi ha gusti affini ai tuoi si rischia di beccare sempre la solita roba e di perdersi cose bellissime che magari, sempre per i gusti di cui sopra, normalmente avresti evitato.

    Insomma secondo me è una tendenza che fa male tanto alla critica quanto ai lettori. E sì che della superficialità del lettore medio ce ne sarebbe da dire…

  31. Bastava una frase per dire che chi recensisce fumetti su internet scrive di merda, cosa peraltro risaputa

  32. @ Luc: che ti devo dire? Superficiale ma soddisfatto: ben di rado prendo cantonate seguendo le recensioni di cui mi fido, mentre ne ho prese tantissime seguendo negli anni la critica “blasonata” (l’ultima in ordine di tempo, non me ne voglia Garamond Ciccarelli, Re in Incognito).

    • Boh, io le cantonate le ho prese tanto in un caso quanto nell’altro.

      Solo che seguendo chi ha i tuoi gusti rimesti bene o male sempre nella stessa roba, si rischia di perdersi belle cose apparentemente lontane dalle tue corde.

      Secondo me manca più la voglia da parte del lettore stesso di prendersi un po’ di tempo per leggere una bella analisi argomentata. E’ un po’ la maledizione della lettura internettiana (che però sta contagiando anche ambiti non digitali), non appena si superano un tot di righe ci si stanca, da qui la fioritura di recensioni brevissime, palline/stelline, voti lapidari. Possono essere utili per farsi un’idea di base, non lo nego, ma non è critica proprio per nulla.

      • Sono d’accordo, è tutt’altro che critica.
        Io li considero suggerimenti, suggestioni, magari chicche nascoste o dimenticate.
        Riguardo il perdersi belle cose solo apparentemente lontane dalle proprie corde: il rischio c’è ed è anche bello grosso, ma purtroppo il tempo da dedicare alla lettura è sempre di meno e per gli esperimenti ci sono sempre meno soldi. 😦

        • Eh, sull’ultima parte c’è poco da eccepire ahimè. Però ecco, almeno personalmente ogni tanto mi costringo a sperimentare e ad aprirmi ad altro, anche di questi tempi. rinunciando magari a cose più rassicuranti.

  33. Intervengo solo oggi, dopo aver letto il n.1 di Mytico!, ed agganciandomi a quello che il signor Marco D., ha scritto ieri alle 23:12 e che riporto :
    <>

    Anch’io concordo con lui.
    Una recensione vera e propria, e magari approfondita, così’ come hai bene indicata nel tuo post, MatteoS, andrebbe realizzata dopo un tot di numeri, uno solo non basta.
    Dopo un numero si posso scrivere dei brevi interventi (brevisioni), ai quali manca però la “prova del nove”, cioè il secondo numero, il terzo, la visione d’insieme dell’opera, e del risultato finale ottenuto dagli autori che ci hanno lavorato.

    Infine sono molto interessanti anche le cose scritte da Massimo Galletti stanotte alle 00:10
    e da RRobe, ieri alle 15:20 (<> ).

    Grazie degli stimoli che ci dai con questo, ed altri articoli.

  34. skull, luc eccetera: in passato, per esempio su LSB, ho letto recensioni brevi ma che mi paiono avessero molti più argomenti (e più opportuni) degli esempi citati.
    http://www.lospaziobianco.it/11778-Napoleone-41-specchio-Sergio-Bonelli-Editore-230euro
    http://www.lospaziobianco.it/11725-Radio-Black-Velvet-3euro

    • Matteo, sinceramente: io tutta questa differenza con le varie recensioni di Mytico (anche quelle che hai fatto a brani) non ce la vedo.
      Sarò più ingenuo, meno smaliziato, non lo so.

      • Su questo concordo con matteo, saranno brevi consigli quelli citati ma almeno evitano le castronerie (e le frasi incoerenti) che si son lette riguardo a mytico. In questo caso la brevità se non centra il bersaglio almeno gli ci si avvicina.

  35. […] e già la rete si è divisa tra pro e contro, sostenitori, critici e “metacritici” (come Matteo Stefanelli sul suo Fumettologicamente, con una riflessione che ci ha interessato molto e che ci fa affermare preventivamente che questa […]

  36. […] anzi ha fatto di tutta l’erba un fascio, senza distinzioni, ricorrendo alla generica categoria ‘recensori di Mytico!’. Secondo lui, le persone che si sono occupate di quel fumetto non hanno fatto un buon lavoro […]

  37. […] in fondo bisogna ammetterlo, “tutte queste critiche di sciatteria dilagante nella critica fumettistica (on-line) italiana” è anche colpa nostra. Infatti come si permette MF di far recensire l’ultimo capolavoro […]

  38. Per quanto, in linea di massima, il tuo articolo sia condivisibile secondo me devi dividere nettamente l’informazione professionale da quella amatoriale sia dal punto di vista della “sorgente delle informazioni” sia per il suo “formato”, sia, e soprattutto, per il target.
    Mi spiego meglio, limitandomi ai manga come esempio.
    Un sito amatoriale che si compone sia di articoli inviati dai lettori sia di quelli dello staff (che poi quello stesso non è composto da null’altro di diverso che da lettori) non può dare uniformità negli articoli per concetto e possibilità, poiché diversamente penalizzerebbe il coinvolgimento; generalmente ogni scheda viene firmata proprio per informare il lettore su chi sia il redattore e permettergli con l’esperienza di fare la sua valutazione sul contenuto.
    Fatta questa banale premessa, ritengo che il punto fondamentale da te non considerato sia porre mente su chi leggerà l’articolo.
    Per mia esperienza i siti web amatoriali, almeno di manga, sono seguiti per lo più da una fetta di pubblico similare a quella degli utenti finali: sono quindi composti per la stragrande maggioranza da giovanissimi (non bisogna farci ingannare dai commenti, anche quelli più sensati, perché pur essendo fatti dai più grandicelli ben presto ci si rende conto che questi sono sempre gli stessi… in tutti i siti). Questo pubblico se gli si propina una recensione lunga, profonda nello sviscerare, articolata nella forma, semplicemente non la legge… dirò di più: secondo me, è evidente dai tempi di permanenza sulle pagine, di un articolo mediamente viene letta solo la prima parte, il paragrafo della trama se va bene, e viene considerato SOLO il voto finale… voto che dal mio punto di vista è un riassunto dannoso e inutile da non mettere proprio!
    Un articolo giornalistico naturalmente e intrinsecamente, invece, finisce per avere come target un pubblico più esigente.

    Una riflessione del genere va fatta inevitabilmente perché, pur mantenendo l’idea e l’obiettivo di creare cultura, senza appiattarci troppo, bisogna abituare il lettore pian piano considerandone l’età e la voglia media di sapere… cercare con strumenti semplici e concisi di passare un messaggio.

    Non credo sia sensato dare da leggere un saggio sulla relatività a uno scolaro delle elementari… ma bisogna cercare gli strumenti per farlo incuriosire e con questa curiosità crescere la sua fame di informazioni.

    Spero di essermi spiegato nonostante il sonno.

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