Il Manifesto del Graphic Novel

Eddie Campbell

Il Manifesto del graphic novel scritto da Eddie Campbell è pressoché sconosciuto in Italia. Un piccolo frammento di storia della fumettologia che vi propongo, tradotto, qui.

Anche perché il dibattito sul concetto di graphic novel non accenna ad esaurirsi. In Spagna, per esempio, negli ultimi mesi se ne è discusso molto in seguito all’uscita del libro di Santiago Garcia La novela grafica (per esempio qui, qui e qui). Anche in Italia se ne è parlato nuovamente (qui e qui), incorporando la questione nella vexata quaestio della definizione lessicale (e lessicologica) del fumetto (qui).

Sono passati 5 anni dalla sua prima formulazione. Eppure il manifesto steso di getto, nel 2005, dallo scozzese Eddie Campbell – noto  autore, insieme ad Alan Moore, dello splendido From Hell – mi pare conservi ancora una certa utilità. Un testo scritto al culmine delle polemiche che stavano accompagnando il graphic novel boom sui media (era l’anno del dopo-Blankets). E proprio per questo, molto lucido nell’operare per distinzioni e opposizioni. Eccolo qua:

Eddie Campbell’s (Revised) Graphic Novel Manifesto

C’è un tale livello di disaccordo (tra noi) e di malintesi (da parte del pubblico) attorno al tema del graphic novel che è giunto il momento di porre una serie di questioni di base.

1. “Graphic Novel” è un termine discutibile, ma lo useremo comunque, intendendo però che il termine graphic non ha nulla a che vedere con la grafica, e il termine novel non ha niente a che fare con il romanzo. (Nello stesso modo per cui “Impressionismo” non è un termine realmente applicabile; infatti fu usato inizialmente come un insulto, e in seguito adottato in un’ottica di sfida.)

2. Poiché non ci stiamo in alcun modo riferendo alla tradizione del romanzo letterario, non riteniamo che il graphic novel debba averne le presunte medesime dimensioni o peso fisico. In questo modo termini sussidiari come “novella” o “novelette” non sono affatto utili, e serviranno solo a distogliere gli spettatori dal nostro obiettivo (vedi sotto), inducendoli a pensare che stiamo creando una versione illustrata della letteratura standard, quando in realtà stiamo affrontando una sfida ben più rilevante; ovvero, stiamo creando una forma d’arte completamente nuova che non sarà vincolata dalle regole arbitrarie di una forma d’arte anteriore.

3. ” Graphic Novel ” indica un movimento, piuttosto che una forma. Perciò possiamo fare riferimento a “precedenti” del graphic novel, come ad esempio i romanzi in xilografia su legno di Lynd Ward, ma non siamo interessati ad applicarne il nome retroattivamente.

4. Sebbene l’autore di graphic novel guardi ai suoi vari antecedenti come a geni e profeti senza il cui lavoro non avrebbe potuto concepire il suo proprio, tuttavia non vuole sentirsi obbligato a mettersi disciplinatamente in fila dietro al Rake’s Progress di William Hogarth ogniqualvolta ottiene un qualche riconoscimento pubblico per sé o per il mezzo espressivo che utilizza.

5. Dal momento che il termine indica un movimento – o un evento in corso – più che una forma, non c’è nulla da guadagnare nel cercare di definirlo o “misurarlo”. Si tratta di un’idea che ha circa 30 anni, sebbene il concetto e il nome si fossero già sentiti in giro almeno dieci anni prima. Così come è ancora oggi in crescita, con ogni probabilità cambierà la propria natura nel tempo, anche entro un anno da ora.

6. L’obiettivo dell’autore di graphic novel è quello di prendere la forma del fumetto [comic book], che è diventata ormai un imbarazzo, e condurla a un livello più ambizioso e significativo. Ciò implica normalmente un aumento delle sue dimensioni, ma dovremmo evitare di entrare in discussioni su quali dimensioni sono o non sono ammissibili. Se un artista offre una serie di racconti come il suo nuovo graphic novel (come Eisner fece con Contratto con Dio), non dobbiamo cadere nei cavilli. Dovremo solo chiederci se il suo nuovo graphic novel è una raccolta di racconti buoni o pessimi. Se questo autore o autrice utilizza personaggi che appaiono in altri luoghi, come ad esempio le diverse apparizioni di Jimmy Corrigan fuori dal libro principale, o i personaggi di Gilbert Hernandez ecc., o anche personaggi che non desideriamo che entrino nella nostra “società segreta”, non potremo escluderli per questo. Se il suo libro non somiglia a nulla di ciò che abitualmente chiamiamo ‘fumetto’, non dovremmo cavillare nemmeno su questo. Dovremmo solo chiedere se è in grado di contribuire ad accrescere la somma totale della saggezza umana.

7. Il termine graphic novel non deve essere preso per indicare un formato commerciale (come “trade paperback ” o “hardcover” o ” prestige format”). Può essere in forma di manoscritto inedito, o serializzato in varie parti. Ciò che conta è l’intenzione, anche se essa emerge solo a valle della pubblicazione originale.

8. Il tema degli autori di graphic novel è l’esistenza tutta, compresa la loro stessa vita. Lui o lei disprezzano la “narrativa di genere” e i suoi orrendi cliché, anche se cercano di mantenere uno sguardo aperto. In particolare sono caratterizzati dall’indignazione verso la nozione, tuttora diffusa in molti luoghi – e non senza ragione – secondo cui il fumetto è un sottogenere della fantascienza o dell’heroic fantasy.

9. Gli autori di graphic novel non penseranno mai di usare il termine graphic novel parlando tra colleghi. In linea di massima tenderanno a fare riferimento al loro “ultimo libro” o al loro “work in progress” o a “quella vecchia robetta commerciale” o anche “fumetto”, ecc. Il termine deve essere usato come un emblema, o come una vecchia bandiera che viene fatta sventolare per la chiamata alle armi o, infine, quando si borbotta per chiedere la posizione di una certa sezione in una libreria sconosciuta. Gli editori potranno usare e riusare il termine finché non significherà più nulla, ancor meno di quanto già non significhi oggi.

Inoltre, gli autori di graphic novel sono ben consapevoli che la prossima generazione di fumettisti sceglierà di lavorare nelle più piccole forme possibili e renderà tutti noi ridicoli per la nostra prosopopea.

10. L’autore di graphic novel si riserva il diritto di rifiutare una o qualsiasi delle presenti affermazioni, soprattutto se questo può comportare un rapido incremento delle vendite.

Così dunque Eddie Campbell, da The Comics Journal Message Board – 2005 [versione riveduta]. Il testo originale è qui.

Ci torneremo sopra.

8 Risposte

  1. “L’obiettivo dell’autore di graphic novel è quello di prendere la forma del fumetto [comic book], che è diventata ormai un imbarazzo”

    Questo pezzo non mi convince. Da loro “comic book” è un oggetto particolare: l’albo spillato con una storia di 22 pagine a colori in formato 17×26 cm. Inoltre da diversi anni i comic book sono dominati dal genere supereroistico.
    Non è che Campbell voleva smarcarsi da questo modo di fare fumetto che nel 2006 negli Stati Uniti andava di gran lunga per la maggiore? Campbell parla di un aumento di dimensioni: le dimensioni aumentano rispetto alle 22 pagine in formato 17×26.

    Secondo me Campbell non voleva dire che “graphic novel” è qualcosa di diverso rispetto ai “fumetti”. Il movimento degli autori che fanno “graphic novel” crea opere che appartengono al genere dei “fumetti” ma si differenzia rispetto ad altri autori di “fumetti” che creano seguendo altre modalità.

    Campbell si premura di dire che si può essere in presenza di gn anche quando il personaggio prende il sopravvento. Lo fa perché i comic book sono molto “personaggio-centrici” e quindi si potrebbe pensare che questa caratteristica non dovrebbe mai appartenere alle gn.
    Spero di non avere fatto la figuraccia della maestrina rompipalle.

    Campbell è diventato un autore di fama mondiale grazie a Alan Moore. E’ un po’ brutto che tiri badilate di cacca su 9/10 delle sue opere.

  2. Caro Luigi,
    Campbell scrive «comic book» e intende «fumetti» perché nel mondo anglosassone perfino fra molti autori, e soprattutto nel linguaggio comune, per indicare il fumetto anche come linguaggio da decenni si usa, secondo un processo metonimico/sineddochico improprio, il termine «comic book». Chi nella vulgata parla di «comics» molto spesso si riferisce (e così intendono i suoi interlocutori) più che altro alle strisce sui quotidiani e a un’idea genericissima di «fumettità». Quando si parla di fumetti come compresenza del linguaggio fumettistico e del luogo primario che li supporta (l’albetto) si parla di comic book ed è questo che tutti capiscono nel mondo anglosassone.
    Invito, sulla riflessione linguistica sul termine graphic novel, ad avvalersi se possibile anche di un mio articolo:
    Marco Pellitteri, «In nome del fumetto», Liber n. 83, luglio-settembre 2009, pp. 41-3.
    Marco Pellitteri

  3. il decalogo di campbell lo conoscevo e mi piace per il suo intento “combattivo” e per la sua ironia.
    sono di più i punti che apre che quelli che chiude, ma senza dubbio pensare a “graphic novel” come a un movimento piuttosto che come a un formato è un bel passaggio logico.
    mi chiedo però se questo possa valere anche per l’italia. trovo che sia molto legato all’evoluzione del fumetto negli states. no?

    harry

  4. mmh, la questione è spinosa. Ma questo già lo sapevamo.

    Concordo con quanto dice harry: il passaggio chiave è nella distinzione tra “fenomeno culturale” e “formato”.
    Tuttavia proprio in questa distinzione ci sono una serie di ambiguità e di ‘tranelli’ retorici:
    1- Campbell dice che non è questione di forme, ma poi scrive che si tratta di “prendere la forma e condurla a un livello più ambizioso”.
    2- ripropone argomentazioni sul contenuto molto “classiche”: opposizione tra una “narrativa di genere” e il tema dell’ “esistenza tutta”.
    3- proprio il formato è stato una delle ‘leve’ più utilizzate dal ‘movimento’.

    Non è chiaro, in particolare, un nodo fondamentale: trattandosi di un “movimento”, chi ne sarebbero i “protagonisti”?
    E in questa risposta si annida un inghippo 😉

  5. bene. non conoscevo ancora questo intervento… il che vuole anche dire che idee, temi, analisi etc circolano ancora troppo poco tra di noi. per fortuna si sta creando una comunità di blog, come questo, che alzano un po’ il tiro. spero che il dibattito cresca: non mi interessa per forza fare affermazioni rigide.
    mi piace l’idea di movimento e se non l’abbiamo ancora acquisita e perché da noi ha prevalso quella di brand commerciale. quindi ambita dagli avidi. quindi snobbata da chi pensa che un fumetto è un fumetto e basta.
    Per esempio, se conta l’intenzione, e quindi è l’autore a definire tale la propria opera, graphic novel, ci avviciniamo anche ad uno dei ragionamenti sugli artisti e l’arte: che si autodefiniscono, risolvendo in modo tautologico ma efficace un problemone pen più antico del nostro. Ed essendo l’arte ricerca, ecco che i graphic novel, alcuni, stanno spostando il limite di quello che per decenni abbiamo inteso come fumetto.

  6. […] il suo – nel ripensarsi complessivamente, quasi come in un movimento culturale (ricordate cosa diceva Eddie Campbell?): mini-comics, autoproduzioni, la scena ‘indy’… Fino al complesso boom del […]

  7. […] mese fa, decisi di tradurre per questo blog il noto manifesto del graphic novel di Eddie Campbell. Un oggetto cuturale certamente interessante. Ma se ero perplesso di fronte […]

  8. […] che ora tutti usano la definizione graphic novel? Ti fa ridere o pensi che sia lecito (penso al Graphic Novel Manifesto di Eddie […]

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