Prima di Watchmen, prima della Storia

Intorno alla notizia di Before Watchmen – il multi-prequel del fumetto di Alan Moore e Dave Gibbons – si è scatenato un certo trambusto mediatico.

A un primo sguardo, mi pare che nei commenti e opinioni intorno all’iniziativa si siano intrecciate quattro posizioni. Che sono in realtà articolate – tra favorevoli e contrari – in due modi diversi di impostare la discussione: il primo riguarda la legittimità dell’operazione, e il secondo la sua pertinenza artistico-culturale.

  • Legittimità: il nodo è la sua legalità o meno. C’è chi riconosce 1) che i diritti siano pienamente in mano a DC Comics, e chi ritiene 2) che Moore sia stato defraudato. Qui emergono le prime contestazioni dello “sfruttamento commerciale”: non si poteva fare, e la creazione di Before Watchmen è una mera operazione di appropriazione – una sorta di esproprio – della proprietà intellettuale di Moore, visto il suo grande appeal sul mercato. Un furto, insomma.
  • Pertinenza: ovvero il tema del “rispetto dell’opera”. Che per qualcuno 3) è pienamente rispettata (e persino in sintonia con il metodo e il progetto “originario” di Moore), mentre per altri 4) la creazione di Before Watchmen costituisce uno sfregio, un vulnus all’identità di quel lavoro unico, che ne esce offeso direttamente o indirettamente. Watchmen è un’altra cosa: è un’opera unica, che può essere proseguita solo da Alan Moore, dicono gli scontenti. Le contestazioni dello “sfruttamento commerciale” prendono qui una piega ‘etica’: non si doveva fare, e Before Watchmen è un prodotto non pertinente rispetto a tale unicità, un gesto eretico che ne ferisce lo statuto creativo irripetibile. Una speculazione senz’anima, insomma.

Dal mio punto di vista sono tra i favorevoli sia sul primo che sul secondo versante del dibattito.

Condivido la posizione 1, nel senso che tendo a ritenere corretta – almeno stando alle informazioni che abbiamo – l’applicazione del diritto d’autore da parte di DC, per cui Moore firmò a suo tempo un contratto secondo il quale i diritti restavano all’editore. Chi propende per la sua illegittimità, si affida a quanto riferito da Moore 25 anni fa, ovvero il possibile mancato rispetto di una clausola (la continuità delle ristampe) nell’anno successivo alla prima edizione, il 1987. Senza conoscere le carte è possibile sbagliare, ma lo stesso Moore ha posto in essere un comportamento dirimente, almeno fino a prova contraria: ha dichiarato di non volere fare causa a DC Comics.

Ma al di là del tema legale, condivido anche la posizione 3. E qui perché al centro del dibattito c’è un prodotto e un mondo finzionale. Che è difficile non considerare, al di là dei vincoli legali, sempre e comunque “espandibile”. Sono le regole dell’immaginario: normale e persino auspicabile che si possa riprendere e/o espandere un universo ricchissimo. Hanno ragione quindi coloro che affermano “Moore si sbaglia”, ricordano esempi classici – da Alice a Pinocchio – e persino gli stessi lavori di Moore (la Lega degli Straordinari Gentleman – sebbene lo specifico mix di characters e le loro interazioni sia opera dello scrittore). E ha ragione Paolo a dire che, citando Moby Dick, Moore mente sapendo di mentire. Non a caso è proprio sul punto della “pertinenza” che i fans propensi alla posizione 4 cadono in contraddizioni paradossali, sconfinando nel patetico [ho la nausea, ma comprerò tutto] come è accaduto – per esempio – al giornalista Rich Johnston, che ha scritto:

I find myself torn. I enjoy and respect the original Watchmen […]  Yet I know, in my heart of hearts, if it did actually exist I would buy it. Because I do want more Watchmen, even if only on a surface level […] I know I will buy it and I know I’ll enjoy reading it, even if my stomach is rotting away.

Pur non essendo un ‘fan’ di Alan Moore (non ho mai condiviso l’enfasi su Watchmen da parte di molto fandom ‘generazionale’) credo tuttavia che l’iniziativa sia criticabile e non condivisibile. Ma su tutt’altro piano. Ovvero il contesto storico in cui è maturata questa decisione: i tempi della Storia (del Fumetto) entro cui si collocano oggi Watchmen e Moore.

Watchmen e Moore rappresentano, per la cultura del fumetto nel 2012, elementi centrali. Un simbolo di una traiettoria culturale (l’opera), e un simbolo della consapevolezza di questo percorso (l’autore). La Storia li attende, ma già da tempo prepara loro un ‘posto’ speciale: quello di un’opera e un autore che ne hanno segnato l’evoluzione per una porzione importante del suo percorso; di certo, l’evoluzione di quella – consistente – fetta di immaginari e di mercato in cui opera DC Comics. In una battuta: la barba di Moore potrebbe non sfigurare tra i Miti d’oggi di un Roland Barthes anni 2000.

Watchmen e Moore vivono già, quindi, in un pezzettino di quella Storia. E come è ovvio, convivono coi legittimi detentori dei diritti. Opera, creatore, proprietà: tre attori in scena cui si prospettano – come sempre nella Storia degli immaginari dell’industria culturale – due strade: restare uniti, o separarsi.

Tutti e tre prima o poi potrebbero sparire dalla scena, e il mito esaurirsi e spegnersi nell’oblìo. Di certo, in questo caso, sparirà per prima la figura dell’autore, la cui morte presto o tardi lascerà sul campo solo una coppia: l’opera, e i suoi diritti.

Ed è qui, nella gestione di questa contingenza storica – la convivenza opera/autore/proprietà – che è sorto un conflitto.

Perché uno dei tre attori ha scelto di operare contro l’altro. Ovvero DC ha scelto di praticare oggi, e in queste determinate condizioni, quella espansione che la Storia avrebbe comunque reso pertinente, prima o poi.

Ne consegue che se l’autore non può (o comunque non vuole) contestare la legittimità di Before Watchmen, né può smentire (a meno di mentire…) la sua pertinenza rispetto alla consueta vita degli immaginari, può solo fare una cosa: seminare dubbi. E uno in particolare. Criticarne cioé il “posto” nella Storia, quella credibilità che non viene dalla legittimità legale, né dalla pertinenza culturale: la sua autorevolezza. E Moore, che incarna (ben più di Gibbons) l’identità unica, individuale, di quel prodotto entrato nella Storia, può correttamente affermare: B.W. non è Watchmen, perché Watchmen c’est moi.

Il punto non è affatto se sia pertinente o eretico mettere mano a Watchmen. Ma se abbia un senso farlo contro il suo creatore, mentre questi è in vita, è riconosciuto come un simbolo cruciale, e pensa il destino di Watchmen in modo differente. Sebbene legittima e pertinente, Before Watchmen è solo inopportuna storicamente: nel 2012 a incarnare l’identità di Watchmen c’è il suo autore, vivo e in grado di esprimere una visione dell’opera (incluso il suo stop; o la sua ripresa solo a certe condizioni, creative ed economiche). Come disse a Wired:

Mi hanno offerto la restituzione dei diritti su Watchmen se in cambio fossi stato d’accordo a pubblicare alcuni stupidi prequel e sequel. Mi sono limitato a rispondere loro che se lo avessero detto dieci anni fa, quando io lo avevo domandato, la cosa avrebbe potuto funzionare. Ma oggi come oggi non rivoglio Watchmen. Di certo non lo voglio indietro a queste condizioni.

Insomma: un conto è il principio generale della Storia, secondo cui qualsiasi immaginario può (e deve) essere rielaborato per sopravvivere a se stesso; un altro è che questa rielaborazione sia usata contro il suo creatore, mentre egli sarebbe stato persino disponibile a proseguire il lavoro sull’opera.

Delle due, quindi, l’una:

– se i diritti sono stati illegittimamente sottratti a Moore, che a suo tempo avrebbe maturato le clausole di scadenza del contratto, l’azione di DC Comics apparirà come una strategia particolarmente aggressiva di sfruttamento commerciale del ‘genio’ creativo. Senza dimenticare che, mezzo secolo dopo il caso Superman (sempre DC Comics), essa suona come un gesto ancora più violento e anti-storico: un business-is-business che contrasta, ormai, non solo con il vecchio buon senso, ma con le best practice dell’industria culturale più moderna ed equa nei confronti degli autori.

– se i diritti sono legittimamnete in capo a DC, l’azione dell’editore creerà comunque un sottile ma profondo danno di immagine, causato dal conflitto sulla credibilità – non riconosciuta dal creatore – dell’operazione. Un danno che sarebbe stato possibile evitare, semplicemente non praticando queste espansioni mentre il “mito d’oggi Alan Moore” è ancora attivo. Secondo alcuni, proprio questa sarebbe stata la scelta compiuta da Paul Levitz mentre fu in carica come Presidente della DC Comics, fiero oppositore delle richieste di Moore, ma al contempo contrario a creare un sequel senza il consenso del creatore.

Nel primo caso, non vedo perché non comportarsi come gli editori o i produttori (di cinema, musica, tv, digital…) più equi: unirsi ai grandi creativi è una risorsa, e non una menomazione (a meno che l’orizzonte progettuale non sia solo il bilancio triennale). Nel secondo, trovo saggio il comportamento di Levitz, e non vedo perché non proseguire (a meno che l’orizzonte progettuale non sia la redditività short-term, anche a costo di operazioni prive della credibilità/autorevolezza necessaria per restare sul mercato a lungo, accompagnando i tempi lunghi della Storia; tempi che includono la scomparsa degli autori).

Sullo sfondo di questa forse piccola, ma di certo esemplare vicenda di conflitti nel campo dell’industria culturale, resta sul tavolo il prodotto: Before Watchmen. L’espansione che alcuni – esclusi quindi i fans più ideologici (inciso: quanti sono? Una campagna di boicottaggio, per esempio, non sta dando grandi frutti) – leggeranno con interesse. O meglio: l’espansione che alcuni leggeranno se, oltre al piacere di conoscere le prime raminificazioni immaginarie di un’opera significativa, sembrerà un progetto stimolante.

E qui non so voi, ma questo è il punto in cui mi sono cascate le braccia. Per due ragioni:

gli autori. Che non sono paragonabili a Moore. Certo, difficile fare paragoni. Ma allora: non è questa l’occasione per tentare di giocare nuove carte? Ovvero: possibile che l’espansione di quell’opera corale sia stata affidata a “firme” (mentre Moore non lo era, a suo tempo) e a creativi assai standard (nessun profilo eccentrico o da innovatore, per quanto si tratti di bravi professionisti)? Inciso: Grant Morrison ha rifiutato di partecipare; per fortuna conosciamo la sensibilità di Darwyn Cooke, forse il solo a garantire una cifra stilistica in grado di iniettare credibilità a un prequel simile.

il concept. Non è una miniserie, ma 7 miniserie da 4/6 episodi. Ovvero: possibile che l’espansione di un’opera corale sia progettata per singoli character, come nelle più canoniche tra le serie di supereroi? Insomma: possibile che la direzione artistica non abbia prodotto un’idea diversa dall’eroe (per periodi, per luoghi, per temi, per…concept differenti)?

Chissà, forse è uno scherzo. O un complotto: qualcuno, lassù dove si decidono i destini dei fumettologi (Coconino County?), vuole trasformarmi in un fan di Alan Moore.

Nonostante Before Watchmen, direi che resisterò.