Lucca Comics Talks 2013: il programma

Ottobre: Lucca Comics&Games si avvicina, e il lavoro si fa intenso. Incluso quello di preparazione ai Comics Talks. La cui squadra, ormai pronta per l’ottavo anno di dibattiti e conversazioni intorno alle più diverse tendenze fumettologiche (sempre nella sala incontri di Palazzo Ducale, e sempre alle 17.45), sarà la seguente:

alcuni ospiti dell'anno scorso: Barbara Canepa, David B., Tuono Pettinato, Kevin O'Neill, Jim Lee

alcuni ospiti dell’anno scorso: Barbara Canepa, David B., Tuono Pettinato, Kevin O’Neill, Jim Lee

Giovedì 31 ottobre – Strisce, e ancora strisce
L’eterno risorgere della forma-strip: tradizioni, ibridazioni e nuovi esperimenti.

Le credevamo un retaggio del passato, un modulo legato alla stampa quotidiana, incapace di attecchire in Italia e destinato a sparire nel mondo. E invece le strisce continuano a fiorire, per mano di autori che ne fanno una forma fluida, in bilico fra tradizione e innovazione, ritmo e sospensione, gioco e sperimentazione. Tra rinnovata attenzione editoriale ai classici del passato e diffusione digitale su nuovi spazi, le strisce sono tornate con rinnovato vigore.
Modera: Paolo Interdonato (blogger, sparidinchiostro.com)

  • Lorena Canottiere (Marmocchi, Diabolo Edizioni)
  • Guy Delisle (Diario del cattivo papà, Rizzoli Lizard)
  • Tuono Pettinato (Viaggio in Italia, Linus)
  • Giorgio Trinchero (Mammaiuto.it)
  • Silvia Ziche (Lucrezia, Rizzoli Lizard)

Venerdì 1 novembre –  Biografie vs. biografie
Raccontare vite altrui. Esperienze da un filone in crescita, fra giornalismo e letteratura.

Non li hanno conosciuti. Ma hanno passato anni a ricostruirne e, talvolta, a reimmaginarne le esistenze. Gli autori di biografie – genere tra i più tipici del fumetto contemporaneo – sembrano riconsiderare i grandi protagonisti della Storia secondo prospettive sempre più ‘decise’. Due modelli emergono: un approccio fattuale e documentario, e la pura invenzione letteraria. Un confronto fra approcci diversi, in bilico tra giornalismo e slanci di fantasia.
Modera: Matteo Stefanelli (docente Università Cattolica)

  • Gianluca Costantini (Enrico Berlinguer, Becco Giallo)
  • Francesca Riccioni (Enigma, Rizzoli Lizard)
  • Silvia Rocchi (Tiziano Terzani, Becco Giallo)
  • Vanna Vinci (La Casati, Rizzoli Lizard)

Sabato 2 novembre –  Raccontare per dire (e per non dire)
Il volto nascosto della narrazione: tre esperienze di racconti indiretti, laterali, enigmatici.

Raccontare con il fumetto è, abitualmente, dire qualcosa, mostrare un mondo. Ma raccontare è anche vagare senza meta, improvvisare, nascondere (frammenti di) realtà. Per lasciare sul campo poche risposte e molte domande. Un incontro fra tre stili di narrazione diversi, per esplorare quel che il fumetto sa raccontare, anche senza dirci (mostrarci) tutto.
Modera: Matteo Stefanelli (docente Università Cattolica)

  • Gipi (Una storia, Coconino Press)
  • Manuele Fior (L’intervista, Coconino Press)
  • Marino Neri (La coda del lupo, Canicola Edizioni)

L’incredibile normalità di Lucca Comics

Sono ormai passate tre settimane, e la maggiore sorpresa dall’ultima edizione di Lucca Comics&Games è ancora lì: poche polemiche.

Fino solo a un paio di anni fa, il principale sport del sistema-fumetto al rientro da Lucca C&G [DISCLAIMER: la mia prospettiva guarda alla componente Comics più che a quella Games] sembrava essere l’analisi critica della manifestazione, rivolta a questo o quell’aspetto: le code infinite alle biglietterie, il caos di trasporti e parcheggi, la proliferazione di cosplayer, le carenze dei contenuti culturali, i sistematici ritardi negli orari degli incontri, la scarsa segnaletica e l’illeggibile program book, la dislocazione dei padiglioni, l’inadeguata infrastruttura di telecomunicazioni (con le linee telefoniche che sistematicamente saltano per eccesso di traffico).

Di tutti questi punti critici – come, per la verità, si era intuito già nel 2011 – uno solo pare rimasto immutato: le telecomunicazioni. Tutti gli altri sembrano invece, se non assenti, fortemente ridotti nel dibattito online (e non) sull’esito del maggiore evento sul fumetto d’Italia, e uno dei tre maggiori d’Europa.

Come è stato possibile?

La spiegazione più immediata e superficiale: di fronte a 180.000 ingressi – record storico – e business buoni per (quasi) tutti, il settore si tace. E ci sta.

Ma la mia spiegazione è un po’ diversa: LCG è una manifestazione molto diversa, oggi, da ciò che era anche solo 3 (o 7, se penso [ri-DISCLAIMER] a quando ho iniziato a collaborarvi con il progetto Comics Talks) anni fa.

Lucca Comics&Games 2012, by Makkox

Polemiche lucchesi: vintage version

Si pensi agli aspetti logistici. Biglietterie e viabilità non sono problemi pienamente risolti, ma sono stati fatti passi avanti importanti, con code ridotte e parcheggi più numerosi. La dislocazione dei padiglioni e degli spazi espositivi si è arricchita, e articolata in nuove aree/piazze un tempo ritenute indisponibili dalla città. La segnaletica è ancora debole, ma migliorata. Il program book è diventato meno caotico e più funzionale (in compenso è andato presto esaurito). Insomma, l’efficienza non è ancora quella dei grandi eventi fieristici nazionali, ma l’inadeguatezza gestionale di alcuni anni fa è ormai solo un cattivo ricordo.

Alcuni dettagli organizzativi sono riusciti persino a stupirmi: per il primo anno da quando frequento l’evento lucchese (20 anni??!), gli incontri sono iniziati e terminati in perfetta puntualità. Sarà che me ne sono spesso lamentato (aneddoto: ricordo quando Jean Van Hamme, scocciato da un ritardo di 45 minuti, decise di andarsene dando buca al panel in cui era previsto), ma non mi pareva vero di entrare in sala e sentire tutti i relatori, a 5 minuti dalla fine, prepararsi a saluti e congedi. Inoltre – dettaglio quasi commovente – sui tavoli erano previsti persino i ‘cavalieri’ di tutti i relatori. A chi frequenti solo fiere del libro tra Francoforte e Tokyo potrà suonare naif, ma così non è: trovare a LCG uno staff finalmente formato, preparato e intercambiabile (con storici collaboratori che lasciano – penso al bravo Matteo Benedetti – e altri che riescono ad assumerne seriamente le funzioni) è non solo una buona cosa in sé, ma il segnale di una concreta evoluzione nelle capacità organizzative.

E proprio gli aspetti propriamente culturali, il cuore – almeno simbolicamente (e/o in termini di posizionamento sul mercato) – di un simile evento, sono quelli in cui è inevitabile notare quanto la manifestazione sia cambiata. E in meglio. Anche perché è proprio lì che si sono sempre scatenate (giustamente) le critiche più dure. Quelle che mettevano in discussione più a fondo l’identità della manifestazione: la selezione e allestimento delle mostre, lo spazio destinato alle produzioni indipendenti, la qualità degli incontri, i premi, la programmazione in genere.

  1. Un esempio sono gli incontri che, come già notavo, si sono arricchiti di una variegata offerta di panel tematici nel solco dei “Comics Talks” (e a costo di fare l’anziano, sono ben felice di avere seminato in questa direzione). Dibatti che se un tempo erano poco ragionati o mal gestiti da oratori improvvisati, oggi vedono impegnati relatori preparati e concentrati. Un complimento specifico, quest’anno, lo faccio quindi ad Andrea Plazzi e Giovanni Russo per i panel “Comics & Science”: il dibattito su Alan Turing è stato davvero riuscito, interessante e pimpante.
  2. Un altro esempio sono le mostre. Poche, in passato, dedicate a opere o autori poco significativi, e composte da materiali o allestimenti mediocri. Ma se già l’anno scorso si era visto un salto in una direzione propriamente curatoriale, con l’azzeccata mostra incrociata su memoria e distanza in Manuele Fior & Davide Reviati, quest’anno il fiore all’occhiello delle esposizioni era una vera e propria ‘prima’ europea: le tavole originali di Yoshihiro Tatsumi, autore di uno dei capolavori nella storia del manga, e uno dei protagonisti della tradizione gekiga. Una mostra che non si era vista nemmeno ad Angoulême (né a Lucerna né altrove).

Insomma, la faccio breve, perché la mia tesi è chiara: dalla sua rifondazione nel 1994 (dopo la rottura con l’Ente Garnier e Immagine, la precedente struttura organizzativa “delle origini”) ha faticato tanto e commesso numerosi errori, ma ormai Lucca C&G è riuscito a diventare un Salone normale. Con i suoi pregi e i suoi limiti, LCG è ormai un grande evento maturo non solo nei numeri, ma in una macchina e in una progettazione assai lontana dalle approssimazioni degli anni Novanta e Duemila. Un grande evento ormai in grado di attirare consumatori, federare operatori e produrre contenuti.

Ed è inutile negarlo o sminuirlo con troppi distinguo: una Lucca C&G normale è un grande risultato. Perché offre all’Italia la presenza di uno strumento, una ‘macchina’ in grado di svolgere davvero una funzione di sistema preziosa: come leva per i media; come valvola di sfogo per le nicchie di mercato; come momento che scandisce l’agenda di produttori e di consumatori; come occasione auto-riflessiva e auto-celebrativa di un settore. Un risultato di cui va dato atto a tutti – e per tutti intendo: gli operatori, senza la cui energia propositiva e spirito critico LCG non avrebbe avuto benzina ideale e commerciale sufficiente; gli organizzatori, senza il cui costante impegno a consolidarsi non si sarebbero messe a frutto molte ambizioni di uno (e più) settori industrial-culturali; la città e i suoi amministratori pubblici, senza la cui – pigra ma mai assente – reattività un simile evento sarebbe potuto restare soffocato e, forse, persino spronato a una lenta migrazione (e come fallì l’attacco di Parigi ad Angouleme, così è toccato a quello di Roma a Lucca).

La *normalità* di Lucca, quindi, ha tolto terreno alle più antiche polemiche sul versante culturale e organizzativo.

Il che non significa che tutto fili perfettamente liscio. Ma la qualità dei problemi e delle polemiche mi pare definitivamente salita di livello, ovvero: più specifiche e meno ‘filosofiche’, più tecniche e meno di principio, più operative e meno identitarie. Polemiche *normali* di un grande evento normale.

Polemiche lucchesi: the next generation

Nel futuro di LCG avranno spazio due ordini di problemi, locali e nazionali: economico-gestionale e sistemico-culturali. Provo a spiegarmi.

Come dimostra quanto riportato dalla testata locale Lo Schermo, la più virulenta della “nuova generazione” di polemiche riguarda il rapporto fra amministrazione locale e la società – una srl partecipata al 100% dal Comune – che gestisce la manifestazione. Perché il nodo è ormai evidente: a fronte di un evento riuscito e profittevole (stimato in un indotto per Lucca tra i 40 e i 50 milioni di euro), la città fatica a fare squadra, scaricando sulla manifestazione diverse responsabilità di cui sarebbe ragionevole che si facesse carico. “La città non collabora” su diversi punti:

  • occupazione suolo pubblico (pagata dalla srl)
  • bonifica di aree verdi messe (il campo Balilla) sotto stress dai padiglioni (pagata dalla srl)
  • pulizie (pagate dalla srl)
  • parcheggi (quelli dedicati agli standisti sono pagati dalla srl)
  • 40mila versati ogni anno dalla srl al Comune – per 10 anni dalla costituzione della società – per l’avvio d’impresa
  • e la ritrosia del Comune sulla disponibilità di spazi, con assunzione dei relativi costi (spese supplementari richieste alla srl per l’uso di piazza S.Michele; rifiuto del Comune a concedere la ex casermetta S.Paolino, in disuso, perché non se ne conoscerebbero i titolari cui fare richiesta; la possibilità di destinare a LCG l’ex manifattura tabacchi, da anni ‘ferma’ in attesa di decisioni politiche)

A corollario di queste polemiche, e alla frontiera tra gli aspetti politico-amministrativi e quelli di vision culturale, c’è il nodo delle relazioni tra la manifestazione e il Museo del Fumetto lucchese. Due entità che, come nella migliore tradizione europea (vedi la decennale contrapposizione ad Angouleme tra la Cité/Museo e il Festival), collaborano poco, male, e talvolta arrivano a farsi evidenti sgambetti. Un problema che, con il recente cambio alla guida del Comune, potrebbe essere vicino a una soluzione. Quantomeno ce lo auguriamo.

L’altro fronte delle polemiche presenti e future riguarda il versante culturale. Che si trova nella condizione di dovere alzare l’asticella della riflessione su alcuni aspetti strategici. Ne cito tre: la disposizione degli stand, la selezione delle mostre, la progettazione dei premi.

1) Il problema dell’affollamento di operatori ha già prodotto, negli ultimi anni, un effetto non troppo noto: la storica centralità dei librai (usato, vintage) è andata declinando. Il pubblico dell’evento si è infatti spostato, ancor più che in passato, dal collezionismo (che ormai ha in Reggio Emilia la sua manifestazione di riferimento) alle novità. Il che, di per sé, è un buon segnale soprattutto per il mercato. Ma è anche vero che tale mutamento ha posto e continua a porre una grande sfida all’organizzazione: valorizzare il posizionamento dei diversi segmenti del mercato, tramite una ‘regia’ nell’assegnazione e disposizione degli spazi sempre più organica, che eviti accostamenti inopportuni per gli uni o per gli altri. E proprio su questo aspetto, l’edizione 2012 ha mostrato segnali problematici: editori popolari che si ritenevano penalizzati dalla collocazione troppo distante dal pubblico nazional-pop o ‘casuale’; editori indipendenti o di ricerca talvolta penalizzati da spazi poco visibili (piazza S.Giusto), talaltra schiacciati dalla prossimità con editori popolari troppo diversi dal proprio pubblico di riferimento. Inoltre, un’addenda: il sistema degli accrediti per gli operatori, giustamente rigido ma macchinoso, ha generato difficoltà sottolineate da alcuni autori (Recchioni o Dell’Edera); facilmente risolvibili, direi.

2) Le mostre, tornate ad essere un fattore decisivo per l’identità del festival, si trovano di fronte alla più importante delle sfide: dimostrare non solo una buona fattura (ribadisco: missione compiuta), ma una vera e propria rappresentatività e/o rilevanza culturale. E qui gli aspetti su cui lavorare in futuro mi sembrano soprattutto due.

  1. Il primo è che l’organizzazione dovrà sempre più dimostrare di offrire un proprio pensiero, una propria lettura delle tendenze culturali in grado di offrire una rappresentazione credibile dello stato dell’industria e della creatività fumettistica. In questa direzione sono andate certamente, negli anni scorsi, le mostre dedicate ad Ausonia, o alla coppia Fior/Reviati; meno, quest’anno, la scelta della coppia Pichelli/Zuccheri. Ottime professioniste, ma la cui enfatizzazione è parsa a molti discutibile o arbitraria.
  2. Il secondo è che, per alimentare con autorevolezza tale credibilità, LCG dovrà sempre più sottolineare una selezione affidata al proprio team, proponendo mostre non solo sostenute dall’energia promozionale degli editori più attivi (come la bella mostra di Enrique Breccia sostenuta da 001 Edizioni; o come la già citata ed eccellente monografica dedicata a Tatsumi; Bao Publishing, editore di Tatsumi, era peraltro ‘rappresentata’ anche da una seconda mostra dedicata a Portugal di Pedrosa) ma dalla propria carica culturale e propria prospettiva curatoriale. Insomma: l’equilibrio fra iniziative promosse dagli operatori e quelle promosse in proprio sarà strategico, e contribuirà a definire la maturità di questo evento nel sistema-fumetto, in Italia e in Europa.

3) Infine, i premi. Da anni affidati a un sistema di submission delegato in toto – e pressoché senza filtri – agli operatori, i Gran Guinigi restano l’elemento su cui LCG ha lavorato con minore insistenza in questi anni. Non ripeterò qui i discorsi che ho fatto spesso su questo aspetto (inclusa la complicata ma bella esperienza di riprogettazione dei premi Micheluzzi a Napoli Comicon, nel 2006), e mi limito a una constatazione: la debolezza dei Gran Guinigi è dimostrata dalla scarsa partecipazione degli operatori, spesso presenti in sala solo se premiati, e che sovente abbandonano a cerimonia ancora in corso, una volta ritirata la propria targa. Un comportamento certamente discutibile, ma spiegabile con la limitata rappresentatività e credibilità di un meccanismo ancora carente sia sul fronte dei criteri che su quello della autorevolezza. E come sempre ripeto ai colleghi e amici più disillusi, se il premio perfetto non esiste, progettare un premio credibile è una necessità primaria, soprattutto per il suo ruolo di rafforzamento di un’identità – tanto più se “di sistema” qual è quella lucchese.

Insomma: arrivata a quota 180.000 visitatori, LCG può probabilmente ancora crescere. E chissà che l’accorciarsi della distanza con il principale competitor europeo, Angouleme, non sia solo questione di numeri, ma di efficienza, energia e idee.

E per ora mi fermo qua, con queste note sparse fra le tante possibili. Nei prossimi giorni, per compensare cotanta logorrea, qualche semplice dettaglio fotografico.