Il mio compagno di stanza, Bisi: un racconto

La settimana prossima, sabato 4 dicembre, sarò a Reggio Emilia, invitato dalla storica associazione culturale ANAFI a parlare di Carlo Bisi, autore del Corriere dei piccoli tra i più importanti, benché spesso un po’ dimenticato.

Nella mia relazione – pensata e scritta a quattro mani con l’amico Fabio Gadducci – parlerò del ruolo della famiglia in Bisi. Un tema a dir poco classico, persino banale (noioso?) se volete. Ma il punto, qui, è un altro: raccontare perché ho accettato con rara felicità, e una certa emozione, questo invito.

Si tratta di ragioni personali, intrecciate alla passione professionale per la vicenda storica e culturale del Cdp cui ho dedicato tanto tempo (e due libri) negli ultimi tre anni. Ragioni personali che, una volta tanto, credo valga la pena esplicitare. Almeno per me. Perché hanno a che fare con quello che sono diventato – con il perché mi trovo, qui e ora, a occuparmi di fumetto. Ragioni che mi portano a scrivere un racconto.

E allora oggi racconterò una storia. Che riguarda me, Bisi, il Signor Pompeo, e un paio di famiglie. Un racconto piuttosto lungo, con qualche sorpresa, e la partecipazione speciale del destino.

La storia di Bisi, amico ‘segreto’ per tre generazioni della mia, di famiglia.

I disegni di Bisi sono tra le prime presenze di fumetto che ricordo nella mia vita. Da bambino, alle pareti della stanza di una casa in campagna, erano appesi due disegni di Bisi. Ricordo me stesso appostato su una sedia, in piedi, le mani al muro e gli occhi puntati a guardarne uno da vicino. La bocca spalancata, come di fronte a un piccolo oggetto misterioso. Ricordo me stesso a letto, lo sguardo a vagare per le pareti della camera, e quei disegni a catturare lo sguardo: una strana calamita per gli occhi, in grado di proiettarmi in fantasticherie pre-sonno. Li fissavo per lunghi minuti, quei disegni, perdendomi nelle fattezze dei personaggi, nei colori stesi chissà come, nelle forme antiquate dei vestiti e degli oggetti, nelle parole scritte a mano che galleggiavano, un po’ sbilenche, nella parte bianca di quel foglio che sapevo essere – così mi avevano raccontato – una filastrocca in rima. Le rime in ottonari del Corriere dei piccoli. Filastrocche che iniziavano entrambe con un certo Sor Pampurio:

Sor Pampurio è arcicontento
di contar fra i cinquecento
mila amici più piccini
i simpatici Ranzini

Non ricordo se venne prima la spiegazione o la scoperta. Ma a forza di vedere quei disegnini, e trovando in qualche casa (dei nonni) alcune raccolte, ricordo che a un certo punto scoprii un giornale, che di quei disegni era pieno zeppo: si chiamava Corriere dei piccoli, e veniva da un’altro tempo. Un tempo che avevano vissuto un po’ i miei genitori e, soprattutto, i miei nonni.

Fu una scoperta bizzarra, che non so più come mi vienne spiegata. Non so se mi parlarono di un “giornalino”, di “giornaletti”, o se qualcuno usò la parola “fumetti”. Non so, e in fondo non mi interessa molto. So che la lettura di quei volumoni enormi, per le mie piccole mani, fu impegnativa quanto può esserlo sdraiarsi per terra, e provare a sfogliare un pesante librone pieno di immagini e più grande di te.

Lo ritrovai in quelle pagine, e lo riconobbi, quello strambo e antiquato Sor Pampurio. Vidi anche un bimbo negretto, che cambiava colore facendo facce strane in ogni disegno. E vidi anche un bambino con la testa quadrata che si stortava sempre in altre forme, dopo essersi fatto male in qualche modo.

Col tempo, imparando a leggere, senza troppo pensarci – da bambini, si è pieni di distrazioni impegni – qualche volta mi ricordavo dell’esistenza di quei libroni pieni di disegni di un altro tempo. E li riprendevo in mano. Arrivai quindi a leggerli, con tanto di filastrocche. Rilessi quei pochi numeri del Corriere dei piccoli più volte, nel corso degli anni di infanzia. Lentamente, però, senza rendermene conto, di quei volumi arrivai quasi a dimenticarmene: l’adolescenza era in arrivo, ben più importante di loro. E per il fumetto non c’era più spazio. Non per me.

Non c’era più spazio nemmeno per i nonni, per me. I custodi di quei misteri d’altri tempi erano per me ormai lontani. Non solo, all’inizio, per le massicce dosi di vecchi Topolino (colpa/merito degli zii, questa) che nella tarda infanzia avevano riempito tante noiose domeniche, sostituendo l’interesse per Corrierino e Più. Ma per la distanza che un adolescente – un po’ tanto adolescente – mette bruscamente fra sè e le generazioni precedenti. Generazioni rappresentate peraltro da un uomo spigoloso, rigoroso, misterioso. Un “Signore” – così lo chiamava qualcuno – dai costumi antichi, bastone-paltò-cappello-Triumph, e un’aria che pareva (l’avrei associato a lui molto dopo) un Gillo Dorfles, solo più vecchio e serioso. Mio nonno Pompeo.

Nessuno mi sembrava, nella mia infanzia e poi adolescenza, più distante da me di questo signore perentorio dal naso pronunciato (il solo segno inequivocabile che mi faceva pensare alla nostra vicinanza). Forse il solo che non riuscivo a scalfire, con la mia protervia un po’ – un po’ tanto – adolescenziale. Un signore che raccontava poco di sè, in una famiglia già abituata a raccontare poco di sè, il cui mestiere era avvolto da una nebbia ancora più fitta di quella che già avvolge, per un bambino, il mestiere dei genitori. Una nebbia squarciata da aneddoti strani – Commendatorequalcosa, Cavalierequalcos’altro, riconoscimenti ufficiali di Re Vittorio Emanuele – e definizioni poco chiare: corniciaio, gallerista. Per un aspirante studente di materie scientifiche, etichette concrete quanto le nuvole. Un signore cui ero affezionato, ma che non riuscivo a conoscere per davvero.

Finché crescendo, qualcosa capii. E presto capii che il nonno era un docile vecchietto malato – e poi, rapidamente, che non c’era più. Nel frattempo, capii anche che il fumetto che avevo snobbato, da buon adolescente, era un campo ricco di cose interessanti. E poi, ma solo poi, capii anche i dettagli di quel che era successo.

Quei disegni alle pareti, che avevano riempito le mie fantastichierie infantili, non erano solo disegni di “un amico del nonno”: lo avevo capito subito, che quell’amico aveva lavorato per il Corriere dei piccoli. Ma solo ventenne, e ormai ‘istruito’ da un po’ di storia del fumetto, capii che quei quadretti incorniciati erano due originali disegnati da Carlo Bisi, in cui Sor Pampurio, protagonista con una pletora di altri personaggi del CdP (c’era anche Bonaventura, Felix, Quadratino, Mimmo…), rivolgeva auguri a mia mamma e a mio zio, per esempio in occasione della Pasqua del 1952:

Questi soci, zitti zitti,
cercan Claudia e cercan Titti

Quei disegni erano stati donati da Bisi a mio nonno, come omaggio alla sua famiglia. Perché mio nonno, scoprii, di Bisi era stato il gallerista. E finalmente, qualcosa capii.

Scoprii che il Commendator Pompeo Ranzini era figlio di uno dei principali tipografi milanesi di fine ‘800 (Ernesto, già principale produttore di fogli volanti, ai tempi il più popolare media legato all’immagine disegnata). Scoprii che era stato un noto gallerista appena dopo la Seconda Guerra, e poi fino agli anni ’80. Che in questo campo aveva lavorato con numerosi artisti, essenzialmente pittori (Annigoni, Donizetti, Fiume tra gli altri). Scoprii che li aveva aiutati a mantenersi, vendendo i loro quadri, ma talvolta anche offrendo loro anticipi o sostegno economico in momenti difficili, rischiando di tasca propria, imbarcando soci non sempre corretti, e perdendo affari importanti. Capii che mio nonno, con l’arte, aveva avuto grandi soddisfazioni, e alcune grosse sofferenze. Capii, infine, che aveva frequentato molto – ed esposto in diverse occasioni, inclusa una delle sue più importanti personali – Bisi, uno dei grandi protagonisti della stagione del Corriere dei piccoli ‘classico’.

Studiando la storia dei media, dell’arte e della cultura popolare italiana, mi resi conto che il destino mi aveva giocato uno splendido scherzo: mi stavo ormai occupando di fumetto, e la distanza con mio nonno si era ridotta. Fino ad arrivare – nel 2007/8 – ad una vertiginosa, provvidenziale, prossimità: dopo anni di attenzione limitata alla didattica in università, iniziai ad occuparmi concretamente di Corriere dei piccoli, preparando un’antologia per Rizzoli che in copertina aveva Bonaventura e, guarda un po’, il Pampurio di Bisi. E fino ad oggi, in cui si avvicina il giorno in cui a Reggio Emilia andrò a raccontare di Bisi. Artista di mio nonno, amico della mia famiglia – e mio compagno nella stanza dei ricordi.

Bisi è stato il principale narratore della famiglia nel fumetto italiano della prima metà del secolo scorso. La mia famiglia lo sapeva bene. E con lui condivise momenti importanti, nel lavoro e nella vita. In quella stanza, che nel frattempo è cambiata, ma che ancora ospita alle pareti i due disegni di Bisi, sono conservati i ricordi e la consapevolezza degli strani percorsi del destino che mi hanno avvicinato, dopo la loro scomparsa, a un pezzo di radici della mia famiglia che non sapevo, non volevo, non potevo percepire come parte di me. A Pompeo, e a Carlo, per quello che hanno fatto per me – senza accorgersene, e senza che io stesso me ne rendessi conto prima dei 25 anni, quando Pompeo non c’era già più – devo quindi qualcosa che non potrò certo ripagare, ma che spero possano sentire, da qualche parte, quando scrivo loro la parola grazie.

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Gli interventi del Convegno, 4 dicembre 2010, dalle 15:

Presentazione > Paolo Gallinari – Presidente Anafi
Introduzione > Gianni Bono – Presidente Comitato “Un Secolo di Fumetto italiano”
Il fumetto per ragazzi in Italia, dal primo Novecento al Boom > Luca Boschi
Riso e Bisi. Illustrazioni e caricature prima e dopo Sor Pampurio > Paola Pallottino
Bisi, la famiglia, le famiglie > Matteo Stefanelli
Carlo Bisi, sociologo a quadretti e il borghesissimo Sor Pampurio > Giulio C. Cuccolini
Il volto impossibile di Pampurio (mockumentary) > Alfredo Castelli
Piccoli personaggi per un grande artista > Luciano Tamagnini

Una Risposta

  1. […] Mentre è in stampa la monografia su Carlo Bisi – detto anche “il più sconosciuto tra i maestri del Corriere dei piccoli” – curata da ANAFI, mi permetto di integrare, oggi, un omaggio alla memoria che scrissi a suo tempo qua. […]

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