Andrea Pazienza e i lupi del riflusso

Non è mai semplice parlare di Andrea Pazienza. Tanto più quando si prova a tuffarcisi dentro, superando l’inevitabile superficie dei discorsi giornalistici sui “contenuti” o sula “vita dell’artista”: studenti&bologna, pertini&wojtyła, antagonismo&77, maledettismo&droga. Il punto più delicato, infatti, mi pare unire questi aspetti a un altro tipo di considerazioni: quelle sul suo linguaggio fumettistico.

Una delle più interessanti riletture del linguaggio fumettistico di Pazienza degli ultimi tempi viene dal blog Ippoghigno nella bruma (Alessandro Panzeri) che, nei mesi scorsi, ha dedicato una serie di post a “Lupi”, una storia breve (13 tavole, del 1984) quantomai cruciale nel percorso dell’artista.

In questa rilettura, Panzeri ha preso una posizione piuttosto ‘eretica’: l’idea che Pazienza sia stato un artista reazionario.

Pazienza mi è sempre parso un autore sostanzialmente reazionario. Intendiamoci: la reazionarietà non è una pregiudiziale estetica, Pazienza è un autore imprescindibile. Come lo definisce Franco Berardi in quel libro di Giubilei, Pazienza e i suoi fumetti sono stati un ponte tra il movimento del ’77 e il rampantismo degli anni ottanta. Questa potrebbe essere un’ottima chiave interpretativa per cominciare a sistematizzarne l’opera. Pazienza non è mai un cronista, quanto piuttosto il ritrattista emotivo di una parabola storica che va dalla festa libertaria degli anni settanta a quella liberista degli ottanta.
Lupi è la storia più rappresentativa di questo passaggio. Un vero spartiacque.

Un primo aspetto sarebbe nella relazione tra i personaggi e il contesto sociale:

In tutta la sua opera i personaggi di Pazienza si adattano all’ambiente circostante, la loro natura è determinata e modellata dall’ambiente esterno e mai il contrario. Già questa è un’idea fortemente reazionaria

Ma gli elementi più interessanti vengono dalla lettura ravvicinata delle tavole finali di “Lupi, di cui Panzeri evidenzia un paio di aspetti. Il primo è nella rappresentazione, che offre il tema di una violenza sconsiderata, egoista, emergente da impulsi repressi maturati nel rapporto con la realtà sociale dell’epoca:

Pazienza rappresenta la gratuità della violenza del branco, con una freddezza che, al momento, ci lascia sbalorditi.

Il secondo è che questa violenza è messa in forma da una struttura del dispositivo-pagina che Panzeri definisce “determinista”: non scomponibile e ricomponibile, ma che ‘mette spalle al muro’ il lettore. Una posizione, diciamo, di adeguamento a un’istanza di contemplazione (‘misticista’, dice Panzeri) della violenza in corso.

Il determinismo strutturale che informa la costruzione (spesso arbitraria e tirata via ma sempre così genialmente e personalissimamente funzionale – per inciso:dimostrazione di questa profonda unità tra il suo dire e il suo essere è che chiunque abbia cercato di essere pazienziano, ha fatto soltanto cazzate) stessa di tutte le tavole di Pazienza comporta che non ci sia distinzione possibile tra il contenuto e il contenitore. […]

La lingua intraducibile di Pazienza, le sue tavole non scomponibili, sono il frutto di una regola privata, geniale e bellissima, ma che esclude ogni possibile negoziazione con il lettore: un fatto privato, borghese, fascista. Perfettamente consustanziale agli anni ottanta d’Italia.

Insomma, Panzeri propone di considerare Lupi come un ritratto di un’epoca, per comprendere il quale bisogna riconoscere la stretta relazione tra il ‘messaggio’ contenuto (la violenza) e il dispositivo della tavola, che offrono – insieme – una-lettura-una della vicenda. Quasi a dire che l’obiettivo di fondo di Pazienza, con questa storia, fosse dire: “è così. punto”.

Che questo atteggiamento di gelida constatazione, e insieme di violenta imposizione discorsiva, offra un esempio della collocazione “reazionaria” dell’arte di Pazienza, beh, è una tesi interessante, per quanto discutibile: sia alla luce di altri lavori di Pazienza molto più ‘aperti’, sia in virtù degli usi politici del suo lavoro che Pazienza cercò e stimolò. E sarebbe utile – ha ragione Panzeri – cercare di andare più in là nell’analisi, evitando le sacche del ‘pazienzismo’ più sbrigativo.

Ma l’idea che nel lavoro di Paz ci fosse una comprensione profonda della transizione di una società, come l’Italia tra i 70 e gli 80, da istanze di liberazione a quel ‘riflusso’ che ha modellato il nostro presente (non siamo forse ancora immersi nelle ‘conseguenze’ di quegli anni 80?), è certamente una pista essenziale.

Come resta essenziale sempre, per cogliere il ‘senso’ di un fumetto, unire l’attenzione a ciò che racconta con quella per il suo dispositivo, interfaccia di una “posizione” (uno sguardo) del lettore che, inevitabilmente, ha sempre in sé una qualche valenza politica.

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