La crisi del balloon-pensiero

Ricordate la discussione di qualche settimana fa (parlando della campagna di comunicazione del PD) sui balloons – speech balloons o thought balloons?

Una bella discussione sul tema del balloon si è sviluppata, proprio in questi giorni, a partire da un post sull’eccellente blog magazine americano Comics Comics.

Il critico Joe McCulloch (una delle migliori “penne fumettologiche” odierne) notava la scarsità con cui si tende, in gran parte del fumetto odierno, a utilizzare una delle più vecchie e note forme del balloon: la “nuvoletta di pensiero” (thought balloon). E ha ragione: sembra davvero, a ben pensarci, che oggi si vedano in giro sempre meno ‘nuvolette di pensiero’.

Nel manga per esempio, osserva Jog, la funzione della nuvoletta è spesso assolta da un “testo flottante” posto all’interno della vignetta, ovvero un grumo di parole letterate, come ‘estratte’ da un immaginario balloon invisibile. Un balloon di pensiero, appunto, con la sua caratteristica catena di nuvolette: un balloon che non si vede (più).

Scott McCloud interviene nella discussione, sostenendo di preferire questo modello giapponese, o l’antico uso della didascalia (thought caption). La ragione è che vi troverebbe una natura più “intima” della trasmissione di pensieri, che supporrebbe, in definitiva, una maggiore partecipazione del lettore.

Nel dibattito intervengono poi altri critici, alcuni lettori, e diversi autori, come Evan Dorkin, Stuart Moore, David Mazzucchelli. Insomma, un buon dibattito.

Nei commenti, ci trovo una frase (di un lettore, credo) che mi pare sintetizzi alla perfezione le corde che tocca una simile, rara discussione via blog:

Tought balloons. Sono un grande strumento per il fumetto che non può essere utilizzato in qualsiasi altro mezzo di comunicazione.

Nuvolette, balloons. Dettagli che abbiamo sotto gli occhi tutte le volte, eppure che spesso dimentichiamo un po’ di osservare, guardando anche al loro mutare di senso (e di forme) nel tempo. Una buona discussione, per parlare della rappresentazione (del pensiero, dei simboli, della stessa partecipazione del lettore) nel fumetto. Torneremo a parlare, dei balloons. Ne vale la pena.

Voi intanto seguite Comics Comics.

12 Risposte

  1. Stra-interessante. Segnalo, non per il blogger che di sicuro già lo conosce :), ma come elemento di cultura balloonesca generale utile al dibattito, l’interessante panoramica di Pascal Levefre:
    http://www.imageandnarrative.be/painting/pascal_levevre.htm

  2. Spesso si usa anche la didascalia in prima persona per i pensieri. Che nel cinema diventa voce fuori campo.
    M

    • @michele: verissimo. La dida assolve spesso (sia “voce off” che “voce over”) alle funzioni del balloon di pensiero. In fondo, per rappresentare il pensiero gli strumenti sono 3: balloon, didascalie, testo ‘flottante’. Però mi piacerebbe capire meglio le ragioni: perché si tende a preferire la dida (in Occidente) o il testo flottante (in Asia)? Quali sarebbero i “limiti” della nuvoletta di pensiero “tradizionale”? Mi piacerebbe sentire un po’ cosa ne pensate voi (autori, lettori, studiosi, redattori)… 😉

      • A mio avviso questi strumenti assolvono a funzioni diverse, perché (sempre imhu) rappresentano posizioni diverse dell’osservatore/lettore in relazione ai personaggi e alla storia.
        Con il baloon di pensiero io leggo (dall’esterno) i pensieri del personaggio.
        Con la didascalia o il testo flottante io sono (dall’interno) il personaggio.
        Con tutte le sfumature del caso, ovviamente.
        Al di là della maggiore o minore eleganza grafica della soluzione adottata cambia in altri termini il grado di coinvolgimento del co-autore/lettore. Azzardo: forse il crescente ruolo dell’intimismo nella narrativa disegnata può avere a che fare con la “scomparsa” del baloon di pensiero. O forse no (sono un lettore/appassionato: non uno studioso).

  3. @marcod: grazie. Quel saggio del buon Lefèvre è talmente sintetico che pare un po’ un “bignamino”. Ma come tutti i Bignami, ci aiuta rapidamente a ricordare. Sul balloon, ricordo come utili alcuni vecchi testi di Fresnault Deruelle. Oggi come oggi mi piacerebbe, però, legggere qualcosa di più aggiornato e meno strutturalista 😉

    @andrea: dici la stessa cosa di McCloud, mi sembra. Coinvolgimento, partecipazione. A livello di intuizioni o sensazioni sono daccordo (magari non al 100%). Mi piacerebbe leggere un po’ di analisi più strutturate, però. Per andare più a fondo sulle diffferenze e sul tema della “posizione” del lettore rispetto al balloon. Quali sono le “marche” di questo coinvolgimento? Come lo riconosciamo? Interfacce, enunciazione… La fumettologia ha fatto ancora poco (se non di rado), per spiegarci come funzionano i meccanismi di coinvolgimento.

  4. è vero quello che dice andrea. nel balloon di pensiero sembra quasi di sbirciare i pensieri del personaggio. Con la dida (che in effetti è l’equivalente del testo flottante in asia) c’è un maggior coinvolgimento del lettore. Poi mi sembra che sia un elemento della grammatica del fumetto un po’ desueto. Un po’ come le didascalie con spiegazioni temporali (es: “nel frattempo”, “più tardi”) che non si usano più. Ma forse questo è solo un mio punto di vista.

  5. Vorrei far notare che il britannico Bryan Talbot è stato tra i primi autori di fumetti a evitare i “tought balloons”.
    Talbot bandì le nuvolette di penseiro (ma non solo) già alla fine degli anni ’70 quando iniziò la sua seminale saga “The Adventures of Luther Arkwright”.

    nda

  6. Io la direi così: il balloon “pensiero” è diventato uno degli elementi istituzionali del fumetto, proprio per le virtù che gli riconosceva Matteo all’inizio della discussione.
    Da un certo punto in poi, è diventato un marcatore di tipicità dei linguaggi del fumetto, o almeno di certi generi fumettistici. Tant’è che lo ritroviamo, insieme ad altri stilemi tipici dei comics, nei quadri di Lichtestein, proprio a richiamare “dall’esterno” l’intero medium.
    E come tutte le forme “classiche” ha finito per il non accontentare più i cartoonist che hanno modi più incisivi per esprimere – come diceva Andrea – la dimensione intimistica, “stream of consciouness” dei personaggi.
    Anche perché le didascalie di pensiero rispetto al balloon, permettono una caratterizzazione più flessibile in termini plastici. Si può variare il tipo di font… Si può variare il colore dei fondi… Si può farli entrare archiettoticamente nella costruzione della vignetta (…da Eisner…. a Ware).

    (scusatemi per la lunghezza del commento!)

  7. @nicola: negli anni ’70 Talbot suonava decisamente fuori dal coro, su questo. Hai ragione. Però starei attento a stabilire una sua “primogenitura”. Anche le didascalie in rima del Corriere dei piccoli, talvolta, riportavano dei pensieri (senza uso del balloon, quindi).
    @marcod: condivido la riflessione sulla “istituzionalizzazione” che, per alcuni, è diventato uno stereotipo da rifiutare. Però quel che dici sul font non è corretto: anche nei balloon di pensiero (come negli speech balloon) spesso si varia la calligrafia. Per dirne un paio: Sandman (i 7 fratelli immortali usano font diversi), o Asterios Polyp.

  8. Si hai ragione Matteo anche il balloon permette di variare il font… Ho l’impressione che la didascalia però anche da questo punto di vista sia risultata più duttile per l’intimismo narrativo. Certe didascalie caratterizzate come brani di diario, pezzetti di romanzo dattiloscritti, etc.
    Un’altra differenza di duttilità che mi veniva in mente è che, mentre è difficile (non impossibile), staccare il balloon pensiero dal personaggio nella vignetta, con le didascalie pensiero, sono state sperimentate anche soluzioni tipo voce off: in una vignetta la didascalia con il pensiero, in un’altra il personaggio “pensatore”.

  9. Intervengo per dire la mia e fare un paio di precisazioni:
    per quanto riguarda Arkwright, Talbot fece una scelta stilistica per quanto riguardava i balloons in toto (vedi edizione originale), e la decisione di non usare i thought balloons non era legata tanto al fatto che non gli piacessero, quanto al fatto che in quel contesto (ma non necessariamente in altri) non ci stavano bene.
    Per il resto, l’antipatia nei confronti del thought balloon credo dipenda molto dal fatto che questa tecnica viene associata a un modo di fare fumetto “arretrato”, così come altre tecniche (vedi alcune transizioni usate da Toth e via dicendo). Personalmente ritengo che sia un modo di pensare sbagliato, inquinato dalla visione dei discepoli di Moore che, lungi dal capire la lezione del maestro, pensano che il fumetto debba semplicemente essere un “piccolo cinema su carta”.
    A me personalmente, piacerebbe vedere più tecniche che siano solo fumettistiche.

  10. marcod: la questione dell’ “intimismo” andrebbe sviluppata meglio. Voglio dire: in che senso, e come mai, la dida permetterbbe più intimità di un balloon? in Asterios Polyp, MAzzucchelli non è così schematico. Però è interessante quel che dici sulla dida come pensiero ‘staccato’ dal corpo. La dida come strumento più “incorporeo”?

    antonio: sono daccordo sulla percezione del balloon come elemento retro’. Che sia una percezione discutibilissima, pure 😉

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