Un piccolo palazzo di carta

L’altro giorno, guardando i link da cui provengono le visite al blog, ne ho cliccato uno di quelli a me sconosciuti. Leggo, esploro, e scopro un (ennesimo) “giovane fumettista debuttante”. Che scrive della sua prima autoproduzione, I palazzi.

Non ho ho idea di chi sia e quali progetti abbia per il proprio futuro Giorgio Pandiani. Ma nel suo post ‘Lo spiegone’, in cui racconta come-è-arrivato-a-fare-quel-che-ha-fatto, ovvero il suo primo graphic novel, ci ho trovato delle considerazioni di buon senso che forse vale la pena ricordare.

Si tratta di argomenti chiari, diretti, tutt’altro che nuovi. Di quelli che fanno pensare all’esistenza di una “maggioranza silenziosa” di fumettisti in erba che, a differenza di chi insiste su blog e forum con discorsi – talvolta anche legittimamente – recriminatori contro editori&editor insensibili (o incompetenti, o in mala fede: fate vobis), mette sul tavolo anche riflessioni disincantate sul proprio percorso. Una sintesi semplice ma non per questo facile, che offre un punto di vista sulla “condizione del debuttante”, in questo anno di dibattiti sullo stato dell’editoria fumettistica italiana, il cui succo è: ho fatto un lavoro che mi soddisfa, ho cercato supporto, non l’ho trovato, ma in fondo è il mio primo giro di giostra, e allora mi sbatto un po’ di più io, e alla prossima sarò più preparato.

terminato un libro, la prima cosa da fare è capire se il prodotto che hai tra le mani è valido. Superata (se mai si supera davvero) questa fase, devi informarti e trovare degli editori che potrebbero essere interessati al tuo volume. […]

Tra i (non) molti editori italiani di fumetti che pubblicano materiale di autori esordienti (o quasi, nel mio caso) solo due mi sembravano adatti, come linea editoriale e serietà della struttura. […] Nel momento in cui scrivo questo post, mesi dopo, nessuno ha risposto.

Le motivazioni possibili sono infinite: sono poco paziente, gli editor non hanno ancora avuto tempo di leggere I Palazzi, mentre si districano tra libri e impegni molto più importanti; il segno non è adatto, troppo realistico o troppo poco realistico; sarebbe stato meglio proporre qualcosa in bianco e nero o al massimo bicromia; la narrazione non ha il giusto taglio o le prime pagine non sono state abbastanza convincenti; i piani editoriali sono già stati stilati; il camioncino della posta è finito giù da un dirupo, le cavallette! Infinite.

Ma c’è solo una motivazione che può essermi utile. Ed è la seguente: gli editor hanno letto il mio fumetto, con la giusta attenzione, e non mi hanno risposto perché il lavoro non è ancora a livello dei loro standard.

Per quanto dura da accettare, questa è l’ipotesi che prenderò come vera. E che mi spingerà a fare di meglio nella prossima storia. E in quella dopo ancora. Perché mica finisce qui.

Scrivo e disegno fumetti principalmente perché, se non lo facessi, non starei bene. Mi mancherebbe qualcosa. Quindi continuerò a farlo, in ogni caso.

Se un editore si fosse dimostrato interessato, tutto sarebbe stato più facile, e avrei evitato paranoie e dubbi, probabilmente. Ma è andata così e, nonostante i difetti e le imperfezioni, credo ancora che I palazzi sia un prodotto valido. Rappresenta tre anni della mia vita e racconta qualcosa che ritengo importante.

Giorgio ha quindi ideato, realizzato e prodotto da sè un volume di un centinaio di pagine, a colori. Per la sua prima autoproduzione, dice di avere impiegato tre anni: un graphic novel, costruito con i propri mezzi, e rischiando un po’ più di chi autoproduce un albo in b/n di 16 pagine fotocopiato e spillato. Ora è un libro in 100 copie, in vendita tramite il blog.

Gli auguro in bocca al lupo.

14 Risposte

  1. sì ma basta,

    il mondo è pieno di storie dimenticate, non pubblicate, rifiutate, segrete.
    Il FARO di HICKSVILLE, con copie uniche di FUMETTI (e non prodotti) che nessuno vedrà mai?
    madonna che poesia…

    adesso invece dobbiamo per forza pubblicare il nostro bel “graphic novel”, conforme alle regole vigenti dettate da editori e librerie…

    che tristezza!

    Ho incominciato a pubblicare le mie storie su spillati fotocopiati “senza copertina” che ancora mi fanno impazzire di gioia per quanto sono diversi, per quanto di quello che sono comunicano.

    poi è successo che “quello che comunico” interessa a tre persone circa.

    fantastico, tre persone bastano e avanzano.

    adesso praticamente non propongo niente a nessuno e faccio solo se mi viene chiesto, sentirmi chiedere una storia anche da una sola persona mi riempie il cuore, per quella persona potrei disegnare mille pagine.

    ma che diavolo è sta storia dell’industria a tutti i costi?

    per me il libro PALAZZI è triste a prescindere per questa voglia di essere merce da scaffale a tutti i costi.

    • mmmh: “sono pienamente d’accordo a metà col Mister”.

      Perché non mi è chiaro di cosa parli.

      Delle motivazioni? Voleva pubblicare un fumetto, gli hanno dato picche, e ritenendolo “comunicativo” almeno per sè, se lo è stampato così come è stato capace di fare. Morale: non è rimasto con le mani in mano, seguendo il proprio desiderio o convinzione di comunicare.

      Parli del lavoro? Non l’ho letto. E qui c’è un altro tipo di considerazioni da fare: è buono o derivativo? Boh, ‘spetta un attimo che lo guardo.

      Diciamo che sul principio generale, dunque, sono d’accordo con te: staremo benissimo, se qualche fumetto mediocre restasse nei cassetti. Viva Hicksville!

      Ma la pulsione a credere in se stessi e nel proprio lavoro creativo è legittima. C’è chi vi investe zero, chi 1, chi 100… qui, direi, più vicino a 100 che a zero.

      Quel che a me non fa dire “triste”, dunque, è un aspetto molto limitato, e solo su questo mi sono soffermato: dubito che apprezzerei il lavoro (sono un ometto pieno di pregiudizi, direbbe il mio amico Paolo), ma certamente riconosco un buon metodo: darsi da fare, e se si riceve picche, riconoscere (pubblicamente: eresia!) che si può fare di meglio. Niente di più e niente di meno.

      Quel che dici sul fatto che sia merce da scaffale, allora, può anche essere. Ma devi spiegarci in che senso. Per esempio: nel senso del formato ‘libro’ (su questo non sarei d’accordo: anche un albetto fotocopiato può contenere roba che vuole solo essere merce da scaffale) o nel senso del contenuto/stile (e qui ti direi: prima i pregiudizi, poi la lettura, e poi ti dico)?

      Investire zero è cosa cattiva, e investire 100 è cosa buona? Risposta italiana “de’ sinistra”: certo!
      La mia più modesta rispostina era: dopo un anno a sentire ragazzini – giovani quanto costui – lamentarsi perché nessuno pubblica e paga i loro capolavori…almeno vedessi gente che si sbattete e dimostra di crederci, nei propri lavori.
      Questo giovine Giorgio ci ha creduto, al punto da stamparsi un libro a colori; e ammettendo persino che la responsabilità di non avere trovato editori… non è degli altri, ma sua.

      Per me, semplicemente: un ragazzo lucido, che svetta in uno scenario pieno di gente dalle idee confuse.

      PS Non commento allora i tuoi, di lavori. Che anche se non ne hai “voglia”, sappi che comunicano a ben più di tre persone: rivendico, da sempre, il posto di tuo quarto lettore. E quindi adesso ti becchi i miei insulti: pigro! maledetto!! Disegna!!!

      • Però, Matteo, A BDF dice robe sante. ‘Sti Palazzi magari sono bellissimi, ma a me gli autori esordienti che mandano due copie del proprio lavoro a 2 editori e se non ottengono immediata risposta si innervosiscono fanno paura.
        Una fotocopia è una fotocopia. La si fa e si è felici. Un libro in quel formato, tirato in 100 copie, è il book di presentazione più costoso di cui abbia mai sentito parlare. Nell’era del digitale si possono fare dei bei DVD.
        Le 4 pagg che ho visto sul sito (prologo) sono il lavoro di un ragazzo cui un editore avrebbe fatto del gran bene.
        Le parole possono essere limate, il linguaggio poetico (e quando vedo un fumetto che mi dice sono poesia mi vien voglia di metter mano alla pistola) potrebbe essere trasformato in racconto. Le pagine potrebbero chiedere di essere guardate. Magari poi migliora, ma sfogliando quelle quattro pagine non lo comprerei.
        O forse lo avrei comprato, se fosse stato editato da uno dei due editori che non menziona. Perché magari di quei due marchi ancora mi fido. E proprio perché di loro mi fido, non l’hanno pubblicato.

        Ok. L’editoria sta deragliando. Il nostro rapporto con i media diventa sempre più individuale. Le mediazioni sono sempre più difficili. Dobbiamo trovare nuovi modi per interagire con le storie e parole nuove per raccontarli.

        Tutti questi non mi sembrano buoni motivi per guardare con affetto a recrudescenze DIY vestite da graphic novel.
        Oppure dovrei credere che quello è un monaco solo per il vestito che si è scelto?

  2. Vabbene, Paolo, però poi ti piace Fior. Come cazzo me lo spieghi?

  3. Alessandro, il fatto che Fior non ti piaccia è un tuo problema. La signorina Else è un libro imprescindibile. 5000 Km/sec è un bel libro. Prima di quei due avevo letto un paio di storie brevi che non ricordo e un libro che preferirei non ricordare.

    I due libri che amo, nel catalogo Atrabile ci stanno benissimo. In quello Coconino meno: la carta avoriata non è fatta per quei colori.

    La traiettoria di Fior è quella di un autore che ha vissuto bene i suoi rapporti con l’editoria o è un caso?

    • Lascia stare. ilfatto che Fior non mi pèiaccia al limite è un problema di Fior e di Coconino. Qualche copia in meno di venduto.

      La signorina Else sono interessanti le prime quattro, cinque tavole (quelle della partita a tennis) poi è piattume sollevato solo dall’uso furbo del colore.
      5ooo etc. è solo uso furbo del colore (infatti piace tanto a quei tipi strani che praticano musico e cromoterapie).
      La carta di coconino ne smorza la furbizia del colore. quindi l’editor di quella casa editrice spiaccica l’unica forza del lavoro di fior.
      è uno dei due marchi di cui ancora ti fidi?

  4. paolo, certo che ci sono cose sante in quel che ha detto bdf. E anche tu.
    Ma infatti non ho detto che ha fatto bene a fare diy “perché diy = bene”. Ho detto ben altro. Ovvero che ha fatto bene a:
    1) riconoscere di avere ricevuto rifiuti motivati dal suo non essere al livello degli editori
    2) non rinunciare alla convizione personale di avere realizzato un lavoro soddisfacente per sè, fino a farne un libro.

    Questo ragazzo non ha detto: mi hanno rifiutato, bstrd, e allora faccio da me. Anzi. E qui è la differenza.

    Ne uscirà solo una sorta di portfolio iper-costoso? E allora? Sarà un portfolio più articolato (si capirà di più sul suo lavoro, al prossimo giro) e convinto (il lavoro di uno che non si sottrae alla fatica del fare). Per un editore, al prossimo giro, sarà una dimostrazione ancora più forte dei suoi limiti (e allora potrà considerare di fare altro) oppure sarà una ottima premessa per dimostrare di essere pronto al dialogo con chi (editore) potrà chiedergli di lavorare assai.

    Meglio che accusare editori miopi di non averlo considerato. Anzi, direi il contrario: una conferma che costoro hanno fatto persino bene, ma che questo non ha nulla a che vedere con la spinta motivazionale di chi vuole sbattersi per migliorare, essendo solo alle prime armi.

    Un autore motivato non è mai garanzia di qualità; ma è premessa proprio a quel che (giustamente) sottolinei tu: disponibilità a faticare nel fare, e non nel farsi dei bei film. Mica poco.

  5. Complimenti. Al ragazzo che ha deciso di metterci moltissimo del suo (soldi, tempo, rabbia, sudore) per un progetto in cui evidentemente crede. E anche a Matteo, per aver dedicato un post così importante a un tizio che neanche conosce .

    • Mi scuso per il doppio commento. Vorrei specificare che in quello precedente non c’è la minima ironia. Ancora una volta l’italiano mi ha tradito. Quello che volevo esprimere era il mio apprezzamento per la scelta di Matteo di prendere un ragazzo relativamente sconosciuto (di cui è venuto a conoscenza solo per caso) come esempio di qualcosa di assolutamente positivo e interessante. Mi scuso nel caso qualcuno si sia risentito.

  6. Doppio commento? Italiano zoppicante? Ma quando??

    E Cmq io da un blogger duro, amante della ultraviolenza e del kitschsublime come evilmonkey non mi aspetterei tutta questa premura. Non vorrai rovinare la tua immagine? 😉

    Ach, questi cattivi-fuori-ma-buoni-dentro. Che figata. E si radunano tutti qui, poi.

  7. ho letto il fumettodi giorgio.
    a parte alcuni dettagli nel testo e nella costruzione di qualche tavola, che un buon editor avrebbe potuto fargli sistemare; mi è sembrato un volume dignitosissimo. che avrebbe potuto interessare un editore come Tunuè.
    da quello che ho capito lui si è rivolto a lizard e coconino. due editori che mai avrebbero potuto interessarsi al suo lavoro.
    c’è nessuno, mi chiedo, in quelle cazzo di scuole di fumetto che questi giovani frequentano, che gli insegni a capire cosa è una linea editoriale (parola grossa per quegli ediotri, ma comunque una linea ce l’ hanno), e a selelzionare a chi rivolgersi?

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