Festival di fumetto indipendente: un boom (problematico)

Negli ultimi anni l’offerta di festival di fumetto è continuamente cresciuta (e quasi sempre, ne sono cresciuti tutti gli indicatori: visitatori, espositori, visibilità sui media). Una parte di questa crescita, meno raccontata rispetto a quella dei grandi incumbent (Angouleme, San Diego, Lucca…), la dobbiamo al contributo offerto da un segmento che, solo 20 anni fa, contava ben pochi casi: i festival di fumetto indipendente.

indie

Se 20 anni fa nascevano modelli pionieristici quali Lucerna e Betheseda, oggi il concetto di “festival di fumetto indipendente” è talmente diffuso da essersi radicato in tutti i paesi/mercati avanzati. E nei mercati più ampi, si può ormai parlare di concorrenza: in Francia, Stati Uniti, Italia, ne esistono ben più di uno. Al punto che è possibile assistere alla definizione di concept e posizionamenti decisamente specifici, se non curiosi (come quello di cui scrissi qua).

In Francia, per esempio, lo scorso weekend si è tenuta a Parigi/Saint-Ouen la seconda edizione di Formula Bula. Un festival che vale la pena tenere d’occhio. Tra le proposte più originali del programma, la prima mostra retrospettiva dedicata in Francia (in Europa?) a Kim Deitch, autore di culto tra i lettori più cinefili, pop e retromaniaci.

Negli Stati Uniti la fioritura di questi festival, negli ultimi tempi, è diventata particolarmente evidente. Tra i festival indie più giovani: a NY il Brooklyn Comics and Graphics Festival, a Minneapolis Autoptic, a Portland The Projects, a Chicago il CAKE.

Ma questa fioritura, per quanto positiva, porta con sé – paradossalmente – anche dei problemi.

Già, perché anche la crescita va gestita. Questione di dimensioni e servizi degli spazi per i visitatori, per esempio. O questione di spazi per gli espositori: non poter offrire un tavolo/banchetto ad una piccola etichetta, o a un’autoproduzione, per un festival indie è un problema non solo commerciale, ma anche etico, che tocca la dimensione partecipativa di questo genere di “prodotto festivaliero”.

Per tutto ciò, la notizia della chiusura del newyorkese Brooklyn Comics and Graphics Festival – vero e proprio alfiere di questo boom americano negli ultimi 2/3 anni – raccontata da The Beat e TCJ, suona particolarmente paradossale. Perché la sua fine non nasce da un calo di visitatori (anzi) né dalla sua redditività (anzi). Ma dalla difficoltà di governare e indirizzare una simile crescita. Ovvero, la difficoltà di mettere a fuoco una visione sulle vie per affrontare, accompagnare, e sviluppare questa maturità. Una dinamica che può produrre lacerazioni fra gli attivisti che animano queste micro-strutture, finendo per farle – brutalmente, improvvisamente – sparire.

fff

Una Risposta

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