Decio Canzio per Sergio Bonelli

Venerdì scorso se n’è andato Decio Canzio.

Una notizia triste, sebbene non del tutto inattesa, conoscendone l’età e le condizioni di salute. Canzio è stato una figura di primo piano del fumetto italiano negli ultimi 40 anni, lavorando fianco a fianco con Sergio Bonelli nella fase di crescita ed espansione della casa editrice, guadagnandosi anche un (raro) riconoscimento – come ricorda Davide – per la sua attività di editor.

Anche per queste ragioni, circa otto mesi fa, lavorando al volume sulla storia del fumetto italiano per Rizzoli (questo), al momento di decidere a chi assegnare la voce dedicata a Sergio Bonelli, Gianni ed io non avemmo dubbi: Decio Canzio.

La pagina che scrisse mi è subito parsa non solo un utile frammento storico, né solo un sincero atto di fedeltà alle imprese del socio Sergio, ma anche un gesto di straordinaria – che forse, col tempo, si farà leggendaria – lealtà amicale. Il miglior ricordo di Sergio Bonelli non poteva che essere il suo; e il miglior ricordo di Canzio per tutti noi, oggi, non può che essere dargliene atto. Ripubblicando questa pagina che Decio Canzio ha voluto scrivere non solo su (Bonelli), ma per (Sergio).

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Negli anni Settanta, nasce il mito della “Banda Bonelli”, come viene affettuosamente battezzata da Oreste Del Buono e da altri intellettuali. Per lungo tempo, la Banda in questione è stata composta da quattro persone: Sergio Bonelli, chi scrive queste note, Tea Bonelli, mamma di Sergio e da sempre saggia e attenta amministratrice della Casa editrice di famiglia, e la bravissima segretaria di redazione Liliana Gentini. Naturalmente circondati da qualche decina di valorosi professionisti (disegnatori, grafici, letteristi, tipografi).

La mia collaborazione con Sergio era nata all’insegna dell’amicizia e della complicità d’interessi. Tra noi due si era stabilito un legame profondo. Io sapevo tutto (o quasi) di lui. Lui sapeva tutto di me.

Sergio Bonelli apparteneva alla stirpe dei generosi. Il che, per un editore, significa, a volte, dare il via a un progetto che non lo convince pur di concedere una soddisfazione a un professionista che stima.

Certo, la sua concretezza non di rado strideva con il popolo dei fumetti, ricco di sognatori e di simpatici acchiappanuvole. Va detto che la fortuna e la forza di Sergio derivavano anche dal fatto di avere alle spalle la “corazzata Tex”, che gli consentiva di progettare e dialogare senza alcuna forma di utopismo editoriale. Tuttavia, la sua capacità di aderire alla realtà era sempre rafforzata da una straordinaria creatività. È stato infatti in quegli anni che la Banda Bonelli ha sfornato la meravigliosa collana Un uomo un’avventura (con i più importanti Maestri del fumetto mondiale), I Protagonisti (con Rino Albertarelli), la Storia del West (con
Gino D’Antonio), Ken Parker (con Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo), Martin Mystère (con Alfredo Castelli), fino ad arrivare al Dylan Dog di Tiziano Sclavi. Senza dimenticare le due saghe popolari create e scritte dallo stesso Sergio: Zagor e Mister No.

Per quel che mi riguarda, ricordo altre iniziative editoriali che mi hanno visto coinvolto in prima persona: la Collana America, nata
come versione italiana di una serie di saggi di produzione americana, dedicati ai vari aspetti della storia della Frontiera (ma non solo),
e che ho curato forte dell’aiuto di due professionisti del calibro di Rino Albertarelli, emerito fumettista e attento studioso dell’epopea
western, e Salvatore Gregorietti, uno dei migliori art-director italiani dell’epoca; i due illustratissimi volumi (Il Diavolo e La Guida
all’Aldilà), decisamente controcorrente e un po’ provocatori, pubblicati dall’Editoriale Milanese; e, infine, Il Piccolo Ranger, una gloriosa serie a fumetti creata nel 1958 dallo sceneggiatore Andrea Lavezzolo e dal disegnatore Francesco Gamba, di cui io ho scritto decine di storie, molto apprezzate da Sergio (e dai lettori).

Un grande contributo al fumetto Sergio lo ha anche dato con la sua “presenza”. Quando non era impegnato nei suoi viaggi di esplorazione, la sua partecipazione a qualsiasi manifestazione fumettistica – fiere, mostre, aste, dibattiti, presentazioni – era garantita. E a tutti parlava con competenza e franchezza dei problemi del fumetto, spesso seppellendo false speranze, anche se aperto a spiragli promettenti.

Nelle riunioni manageriali, era solito smontare con argomentazioni logiche i propositi di chi, innamorato delle nuvole parlanti, prospettava futuri editoriali colorati di rosa. Nelle riunioni redazionali, correggeva bonariamente chi programmava serie e personaggi più o meno stravaganti. Eppure nessuno più di lui, nel mondo dei fumetti, ha lanciato nuove collane, nuovi personaggi e nuovi progetti, alcuni anche di “rottura” rispetto agli schemi tradizionali.

La sua competenza derivava non soltanto dall’aver ricoperto i ruoli di editore e sceneggiatore, ma anche dalla conoscenza dei
complicati sistemi di stampa e distribuzione. Con la modestia che gli era propria, Sergio si era misurato, infatti, con tutti quegli aspetti
della produzione di un fumetto che possono apparire secondari, per la volontà di comprenderne ogni particolare. Un approccio simile
lo ha avuto anche con il disegno. Famosi sono i layout passati ai disegnatori che avrebbero illustrato le sue storie.

In un’occasione, però, è andato oltre; in un’occasione che mi permetto di rievocare. Si è trattato di una sfida con Hugo Pratt, che consisteva nel realizzare una tavola in omaggio al più celebre eroe prattiano, il marinaio Corto Maltese. Sergio ha affrontato una prova che avrebbe spaventato chiunque altro, con l’impegno che gli era proprio, riversando in quelle vignette anche il profondo sense of humour che lo caratterizzava. Il risultato – nient’aff atto disprezzabile, per la deferenza nei confronti di quello che considerava più che un suo autore, un amico – si trova tuttora appeso nella redazione di via Buonarroti, cimelio tra i mille altri che ornano le pareti della Bonelli Editore. Eppure, a guardarla, la tavola citata dà la dimensione dell’uomo Bonelli, che ha saputo trasformare l’azienda di famiglia in un’importante realtà, quella “Fabbrica dei Sogni” che, oltre a offrire ai lettori sempre nuove emozioni avventurose, conserva la memoria storica e documentaria dell’epopea della Frontiera americana, grazie a una formidabile collezione di libri sul West (certamente unica in Italia) raccolti durante i suoi innumerevoli viaggi in giro per il mondo.

In occasione di uno dei nostri ultimi incontri, Sergio mi ha chiesto se io, già allora in pensione, avrei accettato l’idea di catalogare la sua biblioteca. Ho risposto tergiversando e ora me ne pento. Perché, forse, ho perso l’occasione di trascorrere qualche altra ora di lavoro con lui.

2 Risposte

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