Caro Claudio Stassi (o quella tavola rotonda che (non) serve)

Caro Claudio, dopo avere letto, poche settimane fa, il comunicato relativo al dibattito che hai promosso in quel di Lucca, dedicato al confronto tra autori su alcune questioni di attualità per la professione, volevo permettermi un commento. Non come autore, certo. Ma da operatore che segue con interesse la discussione, e da organizzatore culturale interessato a dare un pur minimo contributo di riflessione.

Ai lettori non al corrente dell’ampio e – spesso confuso – dibattito che si è generato la scorsa estate, suggerisco almeno questa sintesi.

Non discuto qui il merito delle tante questioni sollevate. Lo hanno fatto in tanti (tra questi, ho trovato particolarmente centrato questo intervento), e quel che avrei da aggiungere spero di poterlo dire, se ci sarà tempo e modo, nel corso di quella stessa occasione.

Mi limito dunque a esprimerti una sola, forte perplessità. Una perplessità di metodo.

Il dibattito sui bisogni, i comportamenti e i diritti degli autori si è avviato presto verso una direzione molto aperta (il che non è stato sempre di aiuto, ma non è questo il punto, ora). Non a caso, mi sembra, l’estensione che ha toccato ha generato in alcuni il desiderio di affibbiargli persino l’etichetta (sproporzionata) di “stati generali”. L’aspetto più prezioso di tutto questo – al di là, ripeto, della oggettiva confusione e perdita di bussole (e di staffe, per qualcuno) – mi pare che sia stato riconosciuto proprio nella vasta, ambiziosa apertura. Logico quindi attendersi, dall’appuntamento lucchese, un momento di confronto aperto e non strutturato, per provare a fare avanzare il dibattito.

Sono quindi rimasto molto perplesso nel vedere che, invece, questa occasione si è trasformata in una “tavola rotonda”. Peraltro (battutina facile) molto tavola, e poco rotonda: pare una discussione con molti interventi programmati; e inoltre con interventi su aspetti molto specifici. In soldoni, considerando 10 minuti a testa per 2 ore (come annunciato), e vedendo una decina di interventi programmati, mi pare che questa discussione si presenti come lo strumento sbagliato per raccogliere il “testimone” di quel dibattito aperto e non pre-strutturato che avevo seguito finora.

Caro Claudio, sai a cosa assomiglia questa occasione? A qualcosa di ben diverso da una tavola rotonda: pare un convegno. Di certo, è molto diversa da un confronto “senza canovaccio”: tanti gli invitati, ciascuno con una quasi-relazione da presentare, e quindi con un set di esperienze, temi, problemi pre-definito dagli organizzatori (peraltro un set che qua e là pare anche discutibile, ma non vorrei perdermi in dettagli). Dubito che un simile metodo – un convegno de facto – possa aiutare a sviluppare un confronto vero, aperto e non pre-definito in grado di fare emergere quei punti che dovrebbero arrivare a definire un’agenda di lavoro per gli autori. Agenda che peraltro, al momento, mi pare ancora lontano dall’essere chiara; o se lo è – ho letto il riferimento a questioni contrattuali – non si capisce perché mai “stringere” subito, e su questi aspetti (invece che altri), le maglie della discussione.

Insomma: un dibattito – e scusate il gergo politico-sindacale – in grado di mettere a fuoco una piattaforma di lavoro comune non si alimenta con un convegno, ma con altri strumenti. Quello più tradizionale: una assemblea. Uno strumento più difficile da governare, certo, in cui esistono solo turni di parola, e non già un set di temi, relatori e contenuti. Secondo qualcuno, pare, da qualche parte si era parlato di “assemblea permanente”. Credo sarebbe stata una ottima idea (al di là dell’accento su “permanente”), che non capisco perché sia stata scartata: mi sarebbe parsa una ‘forma’ coerente ed opportuna per stimolare una discussione in fondo appena iniziata, e così complessa.

Dunque ecco: sono molto perplesso sul metodo con cui è stato deciso di “dare forma” a questo dibattito. E temo che questa forma possa essere di forte impedimento anche al merito delle discussioni. Una perplessità che volevo condividere in primis con te, e per almeno tre ragioni:

  • perché mi è stato chiesto da chi ha contribuito – più e meglio di me – alla discussione finora, come Michele (e tu stesso, in fondo)
  • perché credo vada apprezzato lo slancio di chi ha voluto farsi carico di un meta-bisogno (pardon per il brutto termine) di confronto e di rappresentanza. Se anche tu avessi commesso errori di metodo (è la mia semplice, schietta opinione), non posso non congratularmi per avere fatto uno sforzo enorme, non richiesto e prezioso, come riunire persone accomunate da una condizione creativa e professionale che continua a presentare nodi vecchi e nuovi da sciogliere. Una condizione di cui tanti si preoccupano a parole, ma pochi si mettono in gioco.
  • perché come operatore, per lavorare al meglio, ho bisogno che gli autori sentano di lavorare in un quadro chiaro, intelligibile, affidabile. Il contesto del mercato italiano è però pieno di troppe falle, e una voce collettiva degli autori potrebbe contribuire, pian piano, a colmarne alcune. Non sono un autore, ma sono certo che dal vostro lavoro comune potrei ricevere un contributo utile per continuare ad operare, e meglio, anche io.

Come dicevo, non discuto qui il merito delle questioni sollevate. Confido che avremo altre occasioni.

Infine: in bocca al lupo. Con rispetto, m.

UPDATE: sono a Lucca. E se riesco, proverò a twittare da lì: http://twitter.com/Fumettologic (da bravo twitter principiante)