Quel pastiche spurio

Scrive Luca Beatrice, critico d’arte contemporaneista, in un articolo per il Giornale, presentando Habibi di Craig Thompson:

graphic novel, quel pastiche spurio che mescola il fumetto con la narrativa, ultimo genere letterario a esprimersi con le immagini e dove queste hanno lo stesso peso e importanza della scrittura

Non è la prima, non sarà l’ultima volta. Che il graphic novel sia qualcosa di “spurio” tra fumetto e qualcosa-che-fumetto-non-è, è un grande classico del giornalismo di cronaca. Che pure la critica d’arte più avvertita si impaludi in queste definizioni da bar, beh, non è esattamente una buona notizia.

O sarà quel pastiche spurio tra improvvisazione culturale e critica d’arte?

18 Risposte

  1. sono d’accordissimo! basta col dare del bastardo al fumetto! l’ho puntualizzato anche io proprio due giorni fa ( http://qumodink.blogspot.com/2011/11/fumetto-for-president.html ) .. anche se non capisco proprio la scelta, del critico, di usare una definizione del genere, dopo che mette in tavola esempi di autori e capolavori fumettistici che hanno ottenuto grande considerazione e meriti.. anche la fotografia ha avuto ( e spesso ancora ha) questa considerazione negativa nella storia dell’arte, della creatività, della comunicazione, risultando spesso entrambi come ambienti espressivi secondari e surrogati di altri con ben più valore artistico..

  2. Trovo buffo e paradossale che per parlare bene di un fumetto, come fa Beatrice di Habibi, si senta il bisogno di far credere che in realta “l’oggetto” di cui si parla non sia un vero fumetto, ma qualcosa d’altro (spurio). In questo atteggiamento io ci vedo un bel po’ di puzza sotto il naso, o al limite timore di squalificarsi di fronte alla puzza sotto il naso del sistema che ruota attorno alla cultura. Dimenticando che, lasciando da parte utili ipocrisie, la definizione “graphic novel” sta a “fumetto”, un po’ come “operatore scolastico” sta a “bidello”, o “operatore ecologico” sta a “spazzino”, e così via. Faccio notare che “genere letterario che si esprime con le immagini e dove queste hanno lo stesso peso e importanza della scrittura” potrebbe essere una possibile definizione di “fumetto”.

  3. “Anche questa volta Thompson ambisce a qualcosa di più di un semplice fumetto, un’opera complessa più efficace e diretta di un romanzo”

    ahahah!

    questo articolo è sbagliato dall’inizio alla fine, sembra comico

  4. la questione in questo articolo non riguarda la considerazione per il fumetto (come sembra avere capito niki). Beatrice ne ha sempre avuta, e qui non fa altro che ribadirla. Il punto è tutto nell’idea di graphic novel come altro-dal fumetto.
    Ha quindi ragione Michele, e Conversazioni fa bene a sottolineare un altro passaggio in cui Beatrice esplicita la sua pseudo-teoria: il graphic novel come “qualcosa di più”. Come a dire che un dato genere o formula (il graphic novel qui) possa essere altro dalla forma stessa cui appartiene. Una baggianata pseudoteorica. Che sul fumetto alcuni credono ancora di potersi permettere.

  5. Imporre un modo di pensare come quello di Luca Beatrice è stato l’obiettivo – ormai raggiunto – di certi editori e autori di fumetti. Non vedo perché prendersela con il povero Beatrice solo perché si è fatto prendere per il naso da chi ha messo in giro certe fesserie ad arte.
    Anche chi usa il termine “graphic novel” in modo neutro ha le sue responsabilità, perché alimenta l’uso di una locuzione ambigua quando potrebbe usare senza problemi il termine “volume a fumetti”.

    • 1- farsi prendere per il naso, se si ha cultura e intelligenza, è cosa evitabilissima.

      2- la locuzione è ambigua, sì, ma su un piano più specifico: contenuto (romanzesco) versus formato editoriale.

      [corsi e ricorsi, certo: non dimentichiamo chi diceva che i comic books (anni 30) o i manga (anni 90) non erano fumetti]

      • “farsi prendere per il naso, se si ha cultura e intelligenza, è cosa evitabilissima”

        Non è vero. Ormai certi discorsi sui volumi a fumetti hanno preso piede e sono inarrestabili:
        http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/04/igort-e-la-guerra-di-anna/168516/
        “Igort dà corpo e sostanza a quella che è ormai una realtà: le graphic novel sono veri libri”

        Se il Giornale e il Fatto Quotidiano, e come loro la maggior parte delle persone, decidono che i fumetti sono roba arretrata mentre le “graphic novel” sono qualcosa di altro e alto, allora quella diventa la realtà.
        “Realtà” è ciò che viene detto e pensato, e se tutti pensano che le graphic novel non sono fumetti, allora le graphic novel non sono fumetti. Ha torto chi sostiene il contrario.
        Di fronte a una situazione del genere si può solo sperare che i volumi a fumetti continuino a rimanere un fiasco commerciale in Italia (così avranno poco spazio sui media generalisti e il fenomeno delle graphic novel intese come opere diverse dai fumetti e degne di essere accostate alla letteratura si sgonfierà) oppure smettere di occuparsi dell’editoria italiana di volumi a fumetti (tanto non si perderebbe molto).

        • C’è un sacco di gente che pensa e dice e scrive che dopo la morte l’anima(?) va in una dimensione parallela o molto bella, o molto brutta o così così. Ho paura che non basti questo a renderlo reale.

          Nel computo della storia dell’umanità, il giornale e il fatto quotidiano sono scoreggette silenziose, l’arazzo di Bayeux è sopravissuto a 900 anni di guerre ridendo. Io credo che la Storia stia dalla parte delle cose vecchie. Così a occhio, sul versante sopravvivenza fumetto, mi rilasserei.

  6. si parlava di questo proprio da Andrea qualche tempo fa, mi cito, che mi era uscito bene:

    “Leggo un bisogno di certezze, dell’appassionato, che si ritrova a dire “questo fumetto non mi è piaciuto, quindi non è un fumetto”.
    Esattamente lo stesso meccanismo viene usato anche al contrario, da chi non ama i fumetti: “questo fumetto mi è piaciuto, quindi non è un fumetto”.
    Questa pseudo-speciazione è irrazionale, arbitraria e ha origini probabilmente affettive, che poco hanno a che fare con i fumetti in quanto tali.
    La pseudo-speciazione tende incontrollabilmente verso la stesura di Indici. Troverei questo fenomeno pericoloso, se non fosse che delle logiche Popolare/Autoriale, la Cultura se ne frega da migliaia di anni, continuando imperterrita a rinnovarsi conservandosi, producendo capolavori e stronzate senza sosta.”

    Certo, che “operatori culturali di alto livello” poi scivolino impantanandosi nel pressapochismo, fa sempre un pochino male al cuore.

  7. e invece no… io puntualizzavo proprio sull’identità del “fumetto” e sulla sua “definizione meticcia” che se ne dà, al di là della considerazione che (come in questo caso) è addirittura dibattito di critica professionale. Tant’è vero che (se hai letto il mio post) io sono per l’indipendenza e autonomia del Fumetto, che seppur ha meriti nei confronti della letteratura e dell’illustrazione, esso è qualcosa d’altro, unico, seppure prodotto di diversi media e opera di diverse attività creative-espressive. Qualcuno, spesso, lo fa rientrare nella Letteratura perché il livello linguistico comunicativo-espressivo (che è solo una componente del fumetto) può essere alto, ma penso che lo faccia proprio perché il “Fumetto”, con la f maiuscola, ancora non ha conquistato la sua indipendenza e autonomia in modo ufficiale, ma solo in via ufficiosa per chi vi è coinvolto e chi ci crede. E sono d’accordo con gio quando dice che ciascuno, arbitrariamente, attua un processo di speciazione sulla base della propria posizione.

    Il fumetto è Fumetto: quello di intrattenimento per bambini, quello di denuncia sociale e/o politica, quello di riflessione poetica, filosofica, esistenziale, quello satirico, avventuroso, fantastico, seriale, autoriale, graphic novel, manga, comics, historieta, quello in bianco e nero, colorato, dipinto, fotografato (anche se qui entra in gioco il fotoromanzo e quindi saremmo nello spurio dello spurio) e via dicendo; tutti i modelli, lo sono allo stesso modo di come l’affresco, la tela ad olio, i graffiti, l’acquerello, il paesaggio, il ritratto, il sacro, il profano, il surreale, il metafisico, sono espressione dell’arte pittorica, o la poesia, il dramma, la favola, il giallo, l’avventura, l’epopea, ecc, lo sono per la Letteratura, e si può continuare con qualsiasi altra arte o attività umana: la musica, l’architettura, il teatro…
    Pur essendo, il Fumetto, costituito da vari linguaggi, esso è un’arte a sé, come lo è il Cinema che è costituito dall’uso di lingue naturali, di musica, di ingegneria, di teatro, di pittura, di scultura, di architettura, di fotografia, di elettricisti, truccatori, stilisti e mille altre cose; non per questo il cinema è un pastiche spurio di ciascun altra arte, ma un’arte autonoma che produce un’ opera unica non rintracciabile in altre attività umane.

    Il punto sta nel carattere di “etichettare lo scibile umano”, che, essendo per sua natura “cultura”, è normale vada incontro a sovrapposizioni, congruenze o differenze a seconda dei casi e non possa invece aspirare con assoluta certezza alla classificazione tout court delle cose come invece si può fare per un numero o una nota musicale, elementi discreti: un 3 è un 3 per tutti e un DO è un DO per tutti (neanche?); invece, secondo me, la cultura è come il nome di un colore: un rosso è un rosso e un arancione è un arancione, ma solo in modo assoluto; quando vengono messi in relazione diventa difficile dire tra le miriadi di sfumature dove finisce l’arancione e dove inizi il rosso! bisogna mettersi d’accordo.. è “l’accordo” la base della cultura..

  8. esco un attimo dalla querelle: ma perchè un articolo su un fumetto lo scrive Beatrice? Che per l’amor di dio ha un sacco di curriculum per parlare di un sacco di cose (dallo spaghetti western alla transavanguaria, pare), ma non di fumetti. Non c’era nessun’altro che poteva scrivere un articoletto comprensibile e decente su Habibi?
    Forse semplicemente a chi interessano i fumetti non interessa scrivere sui giornali. Io voto per abbandonare il giornalismo generalista a se stesso.

    • mmm, provo a rispondere:

      – la competenza sul fumetto, per certa stampa generalista, non è ritenuta un valore, nel senso di un sapere specialistico cui attingere (non tutti, per fortuna: vedi il caso dei collaboratori dei magazines, di gran lunga sia aumentati che migliorati negli anni 2000): è più che altro ‘colore’. In questo caso, side job di un collaboratore con ben altre competenze.

      – ma in realtà, che un commento su un fumetto non venga da un giornalista specialista, bensì da una figura diversa, per me è una splendida strategia. Serve a trovare prospettive diverse, evitare le sacche degli specialismi, a offrire sguardi eccentrici. Anche se poi ci sono gli eccessi: vedi al Corriere, in cui ormai usano&abusano di Giorello (che il dio degli atei lo abbia in gloria, peraltro). Hanno fatto benissimo a chiedere a (o ad accettare da) Beatrice, a mio avviso. Che poi abbia sbagliato un rigore, inscenando una baggianata pseudo-teorica, è responsabilità tutta sua.

      – a chi scrive di fumetti non interessano i quotidiani? Non direi. In Italia ci sono circa dieci giornalisti competenti che sui quotidiani nazionali scrivono (chi più chi meno) regolarmente di fumetto. E ormai si sta affacciando una nuova generazione di giornalisti che quel ‘side job’ lo svolge con una competenza reale, un tempo rara (gusti o limiti critici a parte).

      – il giornalismo generalista non è terreno fertile per l’informazione sul fumetto? La Storia dice che è così, ma non da oggi. Da tempo prospera essenzialmente al di fuori di esso: prima con le fanzines, poi con la stampa specializzata, oggi con la rete (sempre specializzata, ma anche ‘dal basso’).

      Ho risposto? Mi sa di no.

  9. luigi: capisco che tu insista a prendertela con la ‘moda’ del graphic novel. Te ne do’ atto e sono con te, nel contestare la sciatteria di chi subisce il gn come moda. Non equivocare, però, un concetto importante. I graphic novel sono sempre volumi a fumetti? Certo. Ma non tutti i volumi a fumetti sono graphic novel.
    I romanzi sono libri? Certo. Ma non tutti i libri sono romanzi [e scusate la banalità].

    niki: che il fumetto sia fumetto siamo d’accordo. Tutti. Il mio post segnalava, ti ricordo, un problema diverso e più specifico: la teoria (di L.Beatrice) secondo cui graphic novel non significa fumetto, ma qualcosa di “spurio” tra fumetto e altro. Sei andato un po’ fuori tema, ma va bene così.

    gio: adoro la rilassatezza che evochi, mi sa.

    • Ma si dai, ci agitiamo come se le cose che scrivono sui giornali fossero significative, ma poi quello che resta è sempre la narrazione della cronaca, mai la cronaca. Mi sembra che raramente le letture teoriche contingenti sopravvivano ai testi da cui hanno origine.
      Poi non è che io sia un esperto, è un impressione, così… chissà che paranoie si sono fatti su significato e significante mentre venivano dipinte le grotte di Altamira. Le chiacchere vanno, le grotte restano.

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